sabato 25 gennaio 2025

Holly Woodlawn


Holly Woodlawn era un sogno in technicolor, una pennellata ribelle sul volto grigio dell'America anni ‘60. Nata nel calore soffocante di Juana Díaz, Porto Rico, era destinata a un destino ordinario, ma lei, col suo spirito indomabile, seppe fin dall’inizio che non le bastava essere “qualcuno”: voleva essere un mito. E così, con una valigia invisibile piena di sogni, partì verso il Nord, lasciando dietro di sé una scia di sussurri e incredulità.

Il suo battesimo di libertà arrivò proprio con il cambio di nome: “Holly”, come Holly Golightly, l’icona sofisticata di "Colazione da Tiffany", perché, come lei, Holly non desiderava altro che una vita fatta di glamour, fughe romantiche e diamanti. “Woodlawn” venne scelto per puro caso, osservando un cartello durante una scena di I Love Lucy, come se il destino le stesse sussurrando di inventarsi un cognome che brillasse come un neon sulla porta di un club proibito. Da quel momento, si dichiarò l’“erede del cimitero di Woodlawn”, e già solo per questo, New York era pronta ad accoglierla a braccia aperte.

La sua epopea americana, quella vera, iniziò attraversando gli Stati Uniti in autostop, una sfilata in cui Holly, con gambe appena depilate e ciglia disegnate, trasformava la strada in passerella. Lou Reed immortalò la sua epopea in "Walk on the Wild Side": "Holly è arrivata da Miami, Florida, si è depilata le sopracciglia e poi lui è diventato una..."—e in quei versi c’era tutta la sua anima: sfuggente, irriverente, in perenne trasformazione. Holly Woodlawn non era solo un corpo, era l’eco di chi osa sfidare il mondo con un sorriso e una parrucca nuova.

Poi arrivò la Factory. Andy Warhol, maestro di stramberie e provocazioni, fu immediatamente stregato da quell’apparizione venuta da chissà dove, mentre lei, Holly, era in adorazione di quella corte d’artisti, strambi e divini, che vivevano come se ogni notte fosse l’ultima. Durante una proiezione di Flesh, Holly incontrò Jackie Curtis, un’anima altrettanto scatenata e selvaggia, che intuì subito che Holly aveva in sé qualcosa di indomito e la volle nella sua pièce teatrale "Heaven Grand in Amber Orbit". Holly, come un camaleonte, divenne la musa di Jackie e, con l’approvazione di Warhol, entrò nel mondo cinematografico della Factory.

In "Trash" (1970), diretto da Paul Morrissey, il suo ruolo era inizialmente una comparsa, ma Holly, con la sua presenza esplosiva, rubò la scena e conquistò un ruolo più importante. Non era solo recitazione: era come se Holly fosse la trasfigurazione vivente di quella New York underground, incantatrice e scandalosa, che rompeva ogni regola con un ghigno beffardo. Per lei, il cinema era un rituale, un luogo in cui Holly poteva danzare sul filo tra realtà e illusione, senza mai temere la caduta.

Negli anni ‘80 e ‘90, Holly continuò a mantenere vivo il mito: apparve in ruoli cameo, portando sempre con sé quella luce selvaggia che la caratterizzava. Dopo la morte di Warhol, divenne una sorta di mito vivente, una testimone sopravvissuta di un’epoca scomparsa, e fu chiamata a raccontare di quegli anni gloriosi e decadenti che lei aveva vissuto con intensità e leggerezza. Eppure, la sua vera rinascita fu nei cabaret dei primi anni 2000, dove Holly, ormai un’icona, riempiva i locali di New York e Los Angeles con spettacoli sold-out, cantando, recitando e provocando come solo una vera diva sa fare.

Nei suoi ultimi anni, nonostante la salute traballante, Holly trovò conforto nella fedeltà degli amici di una vita. Penny Arcade, sua alleata in mille follie, organizzò una campagna di crowdfunding per aiutarla, mentre Joe Dallesandro, l’amico che le era stato vicino nella Factory, le tenne la mano negli ultimi giorni, restando accanto a lei fino all’ultimo respiro.

Il 6 dicembre 2015, Holly Woodlawn lasciò questa terra in un hospice di Los Angeles, ma se ne andò come aveva vissuto: con un sorriso enigmatico e lo sguardo fisso verso l’orizzonte. Holly non fu mai solo un’attrice: fu una poesia ribelle, una canzone cantata a squarciagola, una bellezza fuori norma. Rimane, anche dopo la sua scomparsa, l’essenza di chi non teme la vita ma la cavalca come un cavallo impazzito, senza voltarsi indietro.