Con questa frase, Salvador Dalí sancì una volta per tutte la sua unicità, non solo come artista, ma come figura universale capace di incarnare un movimento intero, trascendendolo. La sua vita, un continuo intreccio di arte, spettacolo, provocazione e profondità, iniziò l’11 maggio 1904 a Figueres, una piccola città catalana. Nato in una famiglia benestante, Dalí fu segnato sin da subito da un episodio inquietante: prima di lui, i suoi genitori avevano perso un figlio, anch’esso chiamato Salvador, morto a soli due anni. Quando nacque, gli fu detto che era la reincarnazione di quel fratello mai conosciuto. Questo evento influì profondamente sul suo sviluppo, generando in lui un senso di predestinazione, ma anche un tormento interiore che avrebbe alimentato la sua arte.
Dalí dimostrò fin da bambino un talento straordinario per il disegno. A scuola, però, era considerato un ragazzo difficile: ribelle, egocentrico e spesso al centro di episodi sopra le righe. Nonostante ciò, i suoi genitori lo sostennero, vedendo in lui un potenziale straordinario. Nel 1922 si trasferì a Madrid per frequentare l’Accademia di Belle Arti di San Fernando, dove non tardò a distinguersi, sia per le sue capacità tecniche che per il suo comportamento eccentrico. Fu qui che incontrò il poeta Federico García Lorca e il regista Luis Buñuel. Lorca, colpito dall’intensità e dal fascino magnetico di Dalí, instaurò con lui un rapporto intimo e complesso, fatto di ammirazione, desiderio e tensione. Sebbene Dalí non abbia mai confermato di aver ricambiato pienamente i sentimenti del poeta, il loro legame lasciò un’impronta indelebile su entrambi, alimentando le rispettive produzioni artistiche.
Espulso dall’Accademia nel 1926 per il suo atteggiamento irriverente – arrivò a dichiarare che nessuno dei professori fosse abbastanza competente per giudicarlo – Dalí si dedicò completamente alla sua arte. In quello stesso periodo, iniziò a sviluppare uno stile sempre più personale, influenzato inizialmente dal cubismo e dal dadaismo, ma che presto avrebbe trovato la sua forma definitiva nell’estetica surrealista. Il suo trasferimento a Parigi fu un momento decisivo: entrò in contatto con i principali esponenti del surrealismo, tra cui André Breton, Max Ernst, René Magritte e Joan Miró. In breve tempo, il talento tecnico e la straordinaria immaginazione di Dalí lo resero il protagonista indiscusso del movimento.
Le sue opere di questo periodo, come "La persistenza della memoria" (1931), rappresentano il culmine della sua esplorazione dell’inconscio. Gli orologi molli, forse l’immagine più iconica della sua carriera, sono diventati un simbolo universale della relatività del tempo e della fragilità della realtà. Altre opere, come "Il grande masturbatore" e "Sogno causato dal volo di un'ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio", mescolano desiderio, paura, erotismo e simbolismo in un intreccio che sfida ogni logica razionale. In Dalí, l’arte non era mai semplice rappresentazione: era un’esperienza viscerale, un’immersione totale nei sogni e nelle ossessioni.
Nel 1929, Dalí incontrò Gala, nata Elena Ivanovna Diakonova, una donna russa di grande carisma, già sposata con il poeta Paul Éluard. L’incontro con Gala cambiò per sempre la sua vita. Lei non fu solo la sua musa, ma anche la sua manager, la sua complice e la figura che più di ogni altra contribuì a plasmare il "marchio Dalí". Il loro rapporto, sebbene spesso criticato per il suo carattere non convenzionale, fu profondamente simbiotico. Gala era la forza pragmatica che bilanciava l’estro creativo di Dalí, proteggendolo dai suoi stessi eccessi e guidandolo verso il successo internazionale.
Durante gli anni '30 e '40, Dalí consolidò la sua fama a livello mondiale. Le sue esposizioni attiravano folle, e il suo lavoro iniziava a espandersi ben oltre i confini della pittura. Collaborò con il cinema, contribuendo a film rivoluzionari come "Un chien andalou" (1929) e "L’âge d’or" (1930), realizzati insieme a Luis Buñuel, e più tardi con Alfred Hitchcock per il film "Io ti salverò" (1945), in cui creò la celebre sequenza onirica. Non meno significativa fu la sua incursione nella moda: collaborò con Elsa Schiaparelli per disegnare abiti e accessori che sfidavano le convenzioni, come il celebre cappello a forma di scarpa.
Tuttavia, il rapporto di Dalí con il surrealismo si deteriorò nel tempo. Il suo egocentrismo, il suo amore per il denaro e le sue simpatie per regimi autoritari come quello di Franco portarono André Breton a espellerlo ufficialmente dal movimento nel 1934, soprannominandolo ironicamente "Avida Dollars" (un anagramma del suo nome). Dalí, però, non si scompose: dichiarò che lui era il surrealismo e continuò per la sua strada, rafforzando sempre più il mito di sé stesso come genio incompreso.
Gli ultimi anni della sua vita furono segnati da un progressivo isolamento. Dopo la morte di Gala nel 1982, Dalí cadde in una profonda depressione, aggravata da problemi di salute. Si ritirò nella Torre Galatea, parte del Teatro-Museo Dalí di Figueres, un luogo che aveva immaginato come il proprio mausoleo. Qui trascorse i suoi ultimi giorni, immerso nei ricordi e circondato dalle sue creazioni. Il 23 gennaio 1989, Salvador Dalí morì all’età di 84 anni, chiudendo il sipario su una vita che era stata, in ogni senso, una performance straordinaria.
Oggi, l’eredità di Salvador Dalí è immensa. Non è stato solo un artista, ma un visionario, un provocatore, un uomo che ha saputo trasformare la realtà attraverso la lente del surreale. Le sue opere continuano a ispirare, incantare e sfidare, dimostrando che, come lui stesso aveva detto, "un vero artista non è mai compreso fino in fondo, ma è amato proprio per questo." Salvador Dalí non è semplicemente vissuto: ha creato un mondo intero, un universo di simboli e sogni che resterà immortale. "Il surrealismo sono io!" E così è