sabato 25 gennaio 2025

"L'immagine-tempo" di Gilles Deleuze

"L'immagine-tempo" di Gilles Deleuze, pubblicato nel 1989, è il secondo volume di una riflessione teorica che si inserisce all'interno di un progetto complessivo dedicato alla filosofia del cinema. Questo libro esplora il cambiamento radicale della concezione temporale e del movimento nel cinema, in particolare nella sua evoluzione dal cinema classico degli anni '30 e '40 al cinema moderno e contemporaneo del secondo dopoguerra. Deleuze non si limita a un'analisi tecnica dei film o delle modalità di produzione cinematografica, ma si impegna in una vera e propria filosofia del cinema, esplorando come il medium cinematografico possa rappresentare il tempo, sia come dimensione esteriore che come esperienza soggettiva. Il libro di Deleuze è quindi una sorta di "manifesto" per una nuova comprensione del cinema, un approccio che vede la funzione estetica del film non solo come un veicolo narrativo, ma come un mezzo per interrogarsi sulla realtà, sul tempo, e sullo spazio, modificando e rivelando la nostra percezione del mondo.

Nel primo volume del suo studio sul cinema, "L'immagine-movimento", Deleuze aveva già tracciato un'importante distinzione tra due tipi di immagini cinematografiche: l’immagine-movimento e l’immagine-tempo. Quest’ultimo concetto è esplorato in dettaglio in "L'immagine-tempo", dove Deleuze propone una rivoluzione epistemologica e ontologica nel modo di concepire il tempo nel cinema. Fino agli anni '50, il cinema classico si era fondato sulla rappresentazione del movimento come una successione continua di immagini, con una struttura narrativa dominata da cause ed effetti, da una linearità che non solo definiva la progressione degli eventi, ma anche la concezione stessa del tempo. La riproduzione visiva del movimento era, nella tradizione del cinema narrativo, il cuore stesso della struttura filmica, con il montaggio e la successione degli eventi che servivano a costruire un ordine di significato.

Tuttavia, a partire dalla fine degli anni '50 e con lo sviluppo di nuove forme cinematografiche più sperimentali, il cinema cominciò a evolversi verso una rappresentazione più complessa e meno immediata del tempo. La rivoluzione proposta da Deleuze in "L'immagine-tempo" consiste proprio nel passaggio da un cinema che rappresenta il movimento, un movimento lineare e cronologico, a un cinema che esplora il tempo come una dimensione indeterminata, aperta, sfuggente, che si inserisce nella psicologia dei personaggi e nella percezione soggettiva degli spettatori. "L'immagine-tempo", così come Deleuze la descrive, non è più legata a una successione di eventi o azioni, ma si fa portatrice di una nuova temporalità, che coinvolge la percezione, la memoria e l'intuizione del tempo come un’entità complessa, non misurabile.

La teoria del tempo di Deleuze trae profondamente ispirazione dalla filosofia di Henri Bergson, che aveva introdotto una distinzione fondamentale tra il temps mesuré (tempo misurato, quello oggettivo, calcolabile e scientifico) e la durée (tempo vissuto, inteso come un flusso qualitativo e non quantitativo). Mentre il temps mesuré è il tempo cronologico, quello che può essere misurato, segmentato in secondi e minuti, la durée è il tempo come esperienza interna, personale, come una continuità che si sviluppa in modo indeterminato, senza una divisione chiara tra passato, presente e futuro. La durée è il tempo del vissuto, un tempo che non può essere separato dalla percezione del soggetto.

Deleuze applica questa teoria bergsoniana del tempo alla sua analisi cinematografica, utilizzando il cinema come un mezzo per rappresentare la durée piuttosto che il temps mesuré. Il cinema non è più solo un meccanismo esteriore che riproduce il movimento fisico o gli eventi esterni, ma un medium che permette di esplorare il flusso del tempo, in quanto vissuto, percepito e interno. In questo senso, il cinema diventa un veicolo per esprimere la continuità fluida del tempo, che non è né segmentato né lineare, ma che scorre in modo continuo, confondendo i confini tra il passato, il presente e il futuro. Questa concezione del tempo sfida la tradizione del cinema come una sequenza di eventi, e inaugura una nuova estetica in cui il tempo non è un contenitore per il movimento, ma una dimensione che può essere esplorata, frammentata e rielaborata.

Il cambiamento fondamentale proposto da Deleuze in "L'immagine-tempo" riguarda il passaggio da una concezione esteriore e oggettiva del tempo (quella che caratterizzava il cinema classico) a una visione in cui il tempo è vissuto soggettivamente dai personaggi, e da lì viene riprodotto, rappresentato e percepito dagli spettatori. Il tempo cinematografico non è più un semplice fondale su cui si proiettano gli eventi, ma diventa un’esperienza psichica, un riflesso dei pensieri, dei ricordi e delle emozioni dei personaggi. Deleuze descrive il tempo nel cinema moderno come una forma di "interruzione" della continuità, come un elemento che sfida la linearità della narrazione, creando spazi di riflessione, di sospensione e di indeterminatezza.

Nel cinema moderno, dunque, il montaggio non ha più come obiettivo solo la costruzione della narrazione, ma anche la manipolazione della percezione del tempo. I cineasti contemporanei, secondo Deleuze, non utilizzano il montaggio semplicemente per raccontare una storia, ma per rivelare le profondità della mente umana, mostrando come il tempo non sia una successione ordinata di eventi, ma una serie di frammenti, di momenti sospesi, di strappi nella realtà. Il tempo cinematografico diventa così un modo per esplorare la coscienza, il ricordo, l’inconscio, ed è attraverso questa esplorazione che il cinema moderno si distingue dal cinema classico.


Alcuni dei cineasti più significativi che incarnano questa nuova concezione del tempo sono Ingmar Bergman, Michelangelo Antonioni, Alain Resnais e Jean-Luc Godard. Ognuno di questi autori ha utilizzato il cinema per sfidare la tradizionale linearità temporale, per rendere il tempo una dimensione psicologica, riflessiva, a volte disturbante, che non può essere ridotta alla semplice successione di eventi.

1. Ingmar Bergman: I film di Bergman, come Persona, La settima sigilla e Fanny e Alexander, esplorano il tempo come una dimensione psicologica. I suoi film trattano il tempo come una realtà sospesa, che si manifesta nei dialoghi interiori dei personaggi e nelle loro riflessioni sulla vita e sulla morte. Bergman utilizza il montaggio per manipolare il tempo, creando flashback, sogni e allucinazioni che mettono in discussione la linearità temporale e fanno emergere il flusso continuo e caotico dei pensieri e dei ricordi. Il tempo in Bergman non è mai solo uno sfondo per la narrazione, ma diventa una forza che agisce sulla psicologia dei personaggi, influenzando le loro percezioni e le loro azioni.

2. Michelangelo Antonioni: Nel cinema di Antonioni, il tempo è spesso percepito come una dimensione statica, in cui i personaggi sono incapaci di trovare un vero senso di movimento. Film come L'avventura, La notte e Il deserto rosso mostrano una realtà in cui il tempo scorre lentamente, ma in modo frammentato e incerto, creando un senso di alienazione e disorientamento. Antonioni non racconta storie lineari, ma costruisce mondi sospesi, in cui il tempo sembra non avere una direzione chiara. I suoi personaggi vivono in un presente che sembra eterno, privo di futuro, come se il tempo stesso fosse congelato nella loro percezione.

3. Alain Resnais: Nei film di Resnais, come Hiroshima mon amour e L'anno scorso a Marienbad, il tempo è trattato come una realtà non lineare, ma frammentata e intercalata. I suoi film esplorano la memoria e il ricordo, mostrando come il passato non sia mai completamente separato dal presente, ma si intrecci con esso in modo continuo e inafferrabile. Resnais utilizza il montaggio per mescolare passato e presente, creando un senso di disorientamento temporale che mette in discussione la percezione della realtà.

4. Jean-Luc Godard: Godard, con il suo stile innovativo, ha utilizzato il montaggio per distruggere la tradizionale concezione del tempo cinematografico. Nei suoi film, come Alphaville e Weekend, il tempo è una dimensione discontinua, che viene frantumata dal montaggio frenetico e dall'uso di citazioni, interruzioni e dissonanze visive. Godard rifiuta ogni forma di narrazione tradizionale, creando un cinema che è più un'esperienza temporale che una semplice storia da seguire. Il suo cinema sfida la linearità del tempo e invita lo spettatore a riflettere sulla natura del tempo stesso.


In "L'immagine-tempo", Deleuze non solo analizza l'evoluzione del cinema moderno, ma propone una nuova filosofia del cinema che va ben oltre la mera estetica. Il tempo nel cinema diventa un veicolo per esplorare la coscienza, il ricordo, la percezione e la memoria. I cineasti contemporanei non sono solo narratori di storie, ma filosofi del tempo, capaci di utilizzare il cinema come strumento per esplorare il flusso continuo della durée bergsoniana e per mettere in discussione le nostre concezioni tradizionali del tempo. Con L'immagine-tempo, Deleuze ci invita a vedere il cinema non solo come una forma d'intrattenimento, ma come una via privilegiata per riflettere sulla natura del tempo e sulla nostra esistenza nel mondo.