Pablo Picasso è uno di quei nomi che trascendono l’arte per entrare nella leggenda. La sua carriera non è stata soltanto un susseguirsi di successi, ma una rivoluzione continua, una costante riscrittura delle regole che ha trasformato l’arte moderna. Tra il 1896 e il 1972, Picasso ha attraversato ogni fase immaginabile della vita umana e artistica: dalla spensierata giovinezza alla malinconia della vecchiaia, dal rigore accademico alla totale libertà espressiva. I due autoritratti che segnano simbolicamente gli estremi della sua esistenza sono testimoni silenziosi di questa trasformazione, due opere che parlano della sua evoluzione interiore e della sua instancabile ricerca. Analizzarli in parallelo significa non solo osservare il percorso di un artista, ma esplorare il viaggio esistenziale di un uomo che ha vissuto per l’arte e attraverso l’arte.
1896: Il ritratto della giovinezza
Il primo autoritratto di Pablo Picasso è una testimonianza straordinaria del suo talento precoce. Realizzato a soli quindici anni, quando la maggior parte dei suoi coetanei stava ancora cercando la propria strada, quest’opera dimostra una maturità artistica e una sicurezza tecnica che raramente si riscontrano in un adolescente. Cresciuto in un ambiente dove l’arte era parte integrante della quotidianità – suo padre, José Ruiz Blasco, era pittore e insegnante d’arte – Picasso mostrò fin da bambino una capacità di osservazione e una destrezza nel disegno che lo distinsero immediatamente.
Nel ritratto del 1896, vediamo un giovane artista che si guarda allo specchio con serietà e determinazione. Il volto è scolpito dalla luce e dalle ombre, con una precisione che denota ore di studio e pratica. Lo sfondo neutro, privo di distrazioni, incornicia il suo viso, concentrando l’attenzione sull’intensità dello sguardo. È uno sguardo che tradisce una consapevolezza precoce, un’intuizione che la vita lo porterà lontano. In quell’espressione c’è qualcosa di sfidante, quasi provocatorio, come se Picasso stesse già lanciando una dichiarazione al mondo: guardatemi, perché cambierò tutto.
Nonostante l’evidente influenza della tradizione accademica, in questo primo autoritratto si percepiscono i primi segnali di ribellione. La perfezione formale non è fine a sé stessa; c’è una tensione sotto la superficie, un’energia latente che esploderà nei decenni successivi. Questo giovane Picasso è ancora vincolato dalle regole del passato, ma già pronto a infrangerle, a creare un nuovo linguaggio visivo che lo renderà immortale.
L’inizio di una rivoluzione
Dopo il 1896, la carriera di Picasso si sviluppò rapidamente, passando attraverso fasi che riflettono non solo la sua evoluzione artistica, ma anche i mutamenti del contesto storico e personale. La prima grande svolta arrivò con il periodo blu (1901-1904), caratterizzato da tonalità fredde e soggetti malinconici: mendicanti, emarginati, figure solitarie immerse in atmosfere di struggente tristezza. Questo periodo rifletteva le difficoltà economiche e le esperienze personali dell’artista, ma anche una crescente consapevolezza sociale.
Dal periodo blu, Picasso passò al periodo rosa (1904-1906), un momento di maggiore serenità e calore. I toni si fecero più luminosi, i soggetti più leggeri: saltimbanchi, acrobati, figure del circo. Queste opere segnavano un cambiamento di umore, una maggiore apertura alla gioia e all’intimità. Ma fu solo con l’arrivo del cubismo, a partire dal 1907, che Picasso ruppe definitivamente con il passato.
Il cubismo fu una rivoluzione senza precedenti. In opere come Les Demoiselles d’Avignon, Picasso abbandonò la prospettiva tradizionale per frammentare la realtà in una serie di piani multipli. Questa nuova visione del mondo, influenzata dall’arte africana e dalle innovazioni scientifiche dell’epoca, ridefinì il modo in cui gli artisti concepivano lo spazio e la forma. Il cubismo non fu solo uno stile pittorico: fu un nuovo modo di pensare, un linguaggio che aprì le porte alla modernità.
Vita e arte intrecciate
La vita personale di Picasso fu altrettanto tumultuosa e affascinante quanto la sua carriera. Gli amori di Picasso – Fernande Olivier, Olga Khokhlova, Dora Maar, Françoise Gilot, Jacqueline Roque – non furono semplici episodi, ma veri e propri motori della sua creatività. Ogni donna portò qualcosa di unico nella sua arte, influenzando i suoi temi, i suoi colori, i suoi stili.
Ma l’amore non fu l’unico elemento a plasmare il suo lavoro. Picasso fu profondamente influenzato dagli eventi storici del suo tempo. Durante la guerra civile spagnola, creò Guernica (1937), una delle sue opere più celebri, che denunciava gli orrori della guerra e divenne un simbolo universale di resistenza e protesta. Anche durante la Seconda guerra mondiale e il dopoguerra, Picasso continuò a esplorare nuovi linguaggi, affrontando temi di dolore, speranza e rinascita.
1972: Il crepuscolo di un genio
L’ultimo autoritratto di Picasso, realizzato nel 1972, pochi mesi prima della sua morte, è una delle opere più enigmatiche e toccanti della sua carriera. Qui, il volto dell’artista è ridotto all’essenziale: pochi tratti, quasi infantili, delineano una maschera spoglia, dove gli occhi spalancati sembrano scrutare l’ignoto. È un’opera che parla di fragilità, di consapevolezza della mortalità, ma anche di una forza interiore indomabile.
A differenza del primo autoritratto, che celebrava la giovinezza e l’ambizione, quest’opera finale riflette una profondità emotiva e una sincerità disarmante. Non c’è più il bisogno di impressionare, di dimostrare qualcosa. Picasso, alla fine della sua vita, si mostra per quello che è: un uomo che ha vissuto intensamente, che ha affrontato ogni paura e che ora si prepara ad affrontare l’ultima sfida, quella della morte.
Due volti, un’unica anima
Il primo e l’ultimo autoritratto di Picasso sono come due estremi di un ponte che attraversa la vita di un genio. Il giovane del 1896 guarda al futuro con determinazione e speranza; l’anziano del 1972 guarda al passato con saggezza e accettazione. In mezzo, c’è un viaggio straordinario, fatto di rivoluzioni artistiche, passioni travolgenti, successi e perdite.
Questi autoritratti non sono solo immagini: sono racconti, testimonianze, frammenti di un’anima che ha trasformato ogni esperienza in arte. Attraverso di essi, possiamo non solo comprendere l’evoluzione di Picasso, ma anche riflettere sul nostro rapporto con il tempo, con il cambiamento, con la nostra stessa mortalità. In ultima analisi, l’arte di Picasso ci ricorda che, anche quando tutto sembra effimero, c’è qualcosa che può durare per sempre: la capacità di creare, di esprimersi, di lasciare un segno nel mondo. Con questi due autoritratti, Picasso non ci ha lasciato solo un’eredità artistica, ma un messaggio universale: l’arte è la vita, e la vita è arte.