mercoledì 1 gennaio 2025

sono nato


Sono nato in una nube grigia, avvolto da un respiro opaco che si dissolveva ancor prima di potersi definire. Una smorfia di fumo disperso, incapace di prendere forma, che danza fragile nell'ombra senza lasciare alcuna traccia tangibile. Ero appena un sussurro, un'eco timida nell’oscurità che nemmeno la notte voleva ascoltare. Ora sto precipitando, scivolando lungo una corrente invisibile che non offre né riposo né tregua. Ogni istante che passa mi strappa via qualcosa, un frammento di esistenza, come se il tempo stesso mi stesse sfilacciando lentamente, lasciandomi scomposto come polvere che si disperde in balìa del vento.

Vorrei che tu mi prendessi, mi stringessi in qualche modo, anche solo con lo sguardo o il pensiero. Ma cosa può davvero afferrare qualcosa che nemmeno esiste appieno? Come si trattiene ciò che non ha consistenza, che sfugge persino al desiderio di essere fermato? Forse puoi provare a guardare verso di me, sollevando appena il viso e cercandomi con gli occhi che scrutano il nulla. Se riesci, anche solo per un istante, lasciami essere quella linea sottile che sfiora il confine del tuo sguardo. Io sono lì, anche se sto svanendo.

Mentre mi perdo in questo cielo che non ha né volto né cuore, mi confondo nel suo abisso silenzioso. Divento una traccia pallida che si sbriciola nell'aria, un’ombra sbiadita che cerca di sopravvivere nell’indifferenza che tutto avvolge. Eppure, se anche non puoi vedermi, sappi che per un attimo io c’ero. Anche la polvere, nel suo cadere, ricorda di essere stata parte di qualcosa.

Il mondo urla con una furia che non conosce tregua, il suo clamore è un ruggito cieco, un brontolio che si propaga senza fine, divorando ogni cosa nel suo passaggio. È un canto sordo, una litania che martella ogni superficie, eppure, nonostante questo tumulto, io continuo a precipitare. Ogni caduta è come un richiamo, una eco che si spegne prima di trovare una risposta, ma forse proprio in questa caduta, in questa frattura che si ripete senza pietà, esiste una scintilla. Un minuscolo bagliore che mi lega a te, come un filo invisibile che persiste nell’oscurità, sottile e fragile, ma indistruttibile. È come se stessimo sospesi su un mondo dimenticato, sopra una foresta nascosta e sepolta sotto innumerevoli strati di tenebra. Lì, sotto di noi, c’è un mare nero e profondo, denso come il velluto, e in quello spazio sconfinato il silenzio si fa materia, un’ombra tangibile che pesa sulle spalle e sul cuore.

Fiocchi di neve iniziano a cadere. Non è una neve qualunque, ma ogni fiocco è come un piccolo rito funebre, un fragile addio che si posa lieve, eppure definitivo. Scendono lenti, simili alla cenere di qualcosa che non ha mai avuto modo di esistere, come i sogni spezzati prima ancora di nascere. Ogni fiocco sembra raccontare una storia che nessuno ascolterà, ogni granello di bianco è il segno di una fine che non ha avuto un inizio.

Noi danziamo. Ma non è una danza gioiosa, né tantomeno armoniosa. È piuttosto un movimento spezzato, stanco, quasi una marcia lenta verso un luogo che non conosciamo. È una danza priva di grazia, dove i passi sono esitanti, come se fossimo prigionieri di una musica che non riusciamo a sentire. Ogni movimento lascia dietro di sé l’eco di un vuoto che cresce, una spirale di gesti che si dissolvono nel nulla. Sappiamo, in fondo, che questo ballo è destinato a scomparire. Eppure, continuiamo a danzare, come se l’atto stesso di muoverci in questa oscurità fosse l’unica cosa che ci impedisce di sprofondare completamente.

Sono ghiaccio e polvere, frammenti stanchi di un cielo che non mi appartiene, eppure continuo a esistere in questo spazio sospeso, come un'eco dimenticata che risuona tra le stelle spente, come una voce che nessuno ascolta, che si perde nella trama sottile del tempo. Ogni particella di me fluttua senza peso, senza direzione, come se il vento stesso avesse rinunciato a portarmi altrove. Laggiù, figure indistinte avanzano nella neve, ombre che si trascinano senza vita, senza scopo, e ogni loro passo sembra lasciare cicatrici invisibili sul manto bianco che copre ogni cosa, come se anche la terra tremasse sotto il peso di esistenze tanto fragili da spezzarsi nel silenzio. Le loro sagome si confondono con l’orizzonte, danzano in un corteo muto che non promette né salvezza né condanna, solo l’eterna ripetizione di movimenti privi di senso. Nei loro occhi spenti vedo riflessi i miei cuori infranti, le mie danze interrotte, i miei canti che si dissolvono come nebbia all’alba, e ogni nota svanita porta con sé una parte di me che non tornerà, come pagine strappate da un libro che nessuno leggerà mai fino alla fine. Ogni sguardo che incrocio in quelle figure vuote mi ricorda la mia stessa assenza, la mia stessa incapacità di fermare questo sgretolamento lento e inarrestabile. Il mondo è un ruggito senza eco, un urlo che si smorza prima ancora di sfiorare l’orizzonte, e l’aria stessa sembra trattenere il fiato davanti a questa desolazione infinita, come se tutto fosse in attesa di un momento che non arriverà mai. Ogni angolo di questa realtà sembra congelato in una fragile illusione di movimento, ma non c’è nulla che si muova davvero, nulla che respiri con la pienezza della vita. Non resta altro che cadere, lasciarsi andare al richiamo del vuoto, come se la terra stessa fosse stanca di reggermi, come se persino la gravità si fosse stufata della mia presenza e mi lasciasse andare, libera di sprofondare in un abisso senza fondo. E in questa caduta senza fine, forse, ti troverò, ti riconoscerò in un riflesso lontano o nel tremolio di una luce che non ricordo più di aver visto, ma so già che non cambierà nulla, perché anche i sogni più dolci si sciolgono al mattino, lasciando solo il freddo ad abbracciarmi, un freddo che si insinua sotto la pelle, che si annida nelle ossa e le corrode con pazienza. Persino l’idea di trovarti è una promessa fragile che si spezza tra le dita prima di poterla afferrare davvero. Forse siamo destinati a sfiorarci senza mai incontrarci, a rifletterci l’uno nell’altro come specchi incrinati, frammenti di uno stesso desiderio che non troverà mai compimento. Forse cadere è l’unica forma di libertà che mi resta, l’unico gesto che non si può corrompere, un precipitare che è insieme fuga e ritorno, speranza e resa, l’ultimo battito di ali prima di dissolversi completamente nel silenzio di questo cielo che non è mai stato il mio.

Sono cenere e luce spenta, un frammento di cielo disfatto che scende senza scopo, dissolvendosi lentamente nell’aria, come polvere che non trova riposo. Sento voci lontane, ma sono solo echi vuoti che si rincorrono tra le pareti invisibili di questo spazio che non conosco. Eppure, penso che tu sia lì, sperduto come me, nascosto tra queste ombre che inghiottono ogni cosa, come se il buio fosse la nostra unica dimora, il solo rifugio che ci resta. Il mondo è un boato che divora tutto, ogni suono, ogni ricordo, ogni sussurro che proviamo a conservare. Eppure continuo a precipitare, come se l'abisso mi chiamasse con la voce di chi non ho mai smesso di cercare.

È inutile, lo so. So che ogni passo è vano, ogni tentativo è destinato a dissolversi prima ancora di compiersi, eppure ti cerco. Ti cerco nei frammenti di luce che resistono al vuoto, ti cerco nelle crepe che si aprono sotto i miei piedi, dove la speranza sembra nascondersi come un segreto sussurrato dalla notte. Ti cerco nei sussulti della mia memoria, in quei bagliori improvvisi che sembrano la tua voce, la tua presenza sfuggente che mi attraversa senza fermarsi mai.

Non so se ti troverò, non so se questo viaggio abbia una fine, ma il mio cuore continua a bussare contro le pareti del silenzio, chiedendoti di rispondere, anche se con un solo battito, un respiro che spezzi questa quiete asfissiante. E così, mentre tutto scivola nell’ombra, io rimango qui, cercandoti, perché non posso fare altro, perché forse è l’unica cosa che mi tiene ancora in piedi.

Non c’è più nulla da vedere. Davanti ai miei occhi si stende solo una distesa inerte, una foresta morta che si allunga fino all’orizzonte, come un corpo esanime che non respira più. Le chiome degli alberi sono spoglie, scheletri di rami intrecciati che sembrano protendersi verso di me, o forse verso qualcosa che non c’è mai stato. Sotto di me si allarga un mare di ombre, un abisso silenzioso che aspetta, paziente, che ogni cosa si arrenda al suo richiamo. È un paesaggio svuotato di ogni respiro, una tela stracciata dove la luce non trova appigli. La vita, in fondo, non è altro che questo: come la caduta, è inutile. Una parabola breve e spenta, un intervallo destinato a spegnersi prima ancora che qualcuno possa accorgersene davvero.

Eppure, mentre scruto l’oscurità che si addensa intorno a me, un lampo fugace mi tradisce. Credo di scorgere un riflesso che mi sembra familiare, un tratto delicato, il profilo sottile del tuo collo che emerge appena dalla cortina di ombre. È una figura bianca, quasi diafana, che si staglia per un istante prima di dissolversi. Cerco di aggrapparmi a quella visione, ma le mie mani incontrano solo il vuoto. Non è che un miraggio, una dolce illusione che la notte disegna per ingannarmi. La speranza è una compagna crudele, si insinua nei pensieri come una fiamma debole che arde ma non scalda. In questa notte senza speranza, tutto sembra un inganno tessuto dalla solitudine stessa.

So già che non posso raggiungerti. Non importa quanto mi spinga in avanti, non importa quanto io desideri colmare la distanza che ci separa. È come se una barriera invisibile, sottile ma inespugnabile, si alzasse tra noi, rendendoti inaccessibile. Rimango fermo, con lo sguardo fisso su quell’illusione che già si dissolve, consapevole che l’unica cosa che posso fare è restare qui, mentre la foresta morta continua a crescere, e le ombre, silenziose, avanzano inesorabili.

Ora precipito. Il cielo sopra di me si stringe, come una mano che afferra e spegne ogni barlume di luce, come un velo nero che cala senza alcuna esitazione, indifferente e impassibile al mio destino. La sua oscurità si stende, mi avvolge e mi soffoca, mentre cado, cado ancora, senza che nulla possa arrestare questa discesa infinita. Guarda verso l’alto, se hai il coraggio, se puoi sollevare gli occhi in questa notte senza stelle, e forse scorgerai la mia figura che si contorce, che precipita con la grazia di una foglia morta portata via dal vento. È un viaggio senza meta, un volo che non conosce fine, e io sono solo un’ombra che lentamente si dissolve nell’immensità dell’oscurità.

Il mondo attorno a me grida, ma il suo urlo si perde, si scompone in echi che rimbalzano nel vuoto, in parole che non riescono a prendere forma. Ogni cosa si sfalda, e il senso stesso sembra sfuggirmi, lasciandomi sospeso in una caduta che è più reale di qualsiasi sogno. Scivolo giù, giù ancora, come la cera di una candela che cola lentamente, come una fiamma che si spegne con un ultimo sussurro, lasciando dietro di sé solo fumo e silenzio. È verso di te che vado, verso l’immagine sfocata che resta impigliata nei miei pensieri, anche se so che non ci sarà nessun abbraccio ad attendermi, nessun calore capace di fermare questo gelo che si insinua dentro di me.

Eppure continuo a cadere. Non smetto, non posso smettere. Ogni istante si dilata, e ogni battito di cuore diventa una pietra che mi trascina più in basso. Vorrei fermarmi, vorrei gridare, ma la mia voce è già svanita, inghiottita dal nulla. L’oscurità mi accoglie con le sue braccia vuote, e io mi abbandono a essa, sapendo che non c’è terra che possa attutire il mio impatto, nessuna fine che possa pormi di fronte a un nuovo inizio. Cado, e cado ancora, e la mia ombra si dissolve del tutto, lasciando dietro di me solo il ricordo di una presenza che svanisce come polvere nella notte.

Tra un attimo, o forse tra mille anni, sarò lì. O almeno, così mi racconto mentre ogni passo sembra sospeso sull’orlo di un precipizio invisibile. Forse non arriverò mai davvero, forse l’abisso mi sta già osservando, con il fiato freddo che sfiora la nuca e le ombre che si allungano come dita pronte a chiudersi. Potrebbe inghiottirmi in qualsiasi momento, eppure continuo a muovermi, perché cos’altro potrei fare? Restare fermo non serve, non cambia nulla. Non c’è nulla da trovare qui, nulla che valga lo sforzo di trattenere il fiato o di contare i passi. Ogni cosa è svanita o forse non è mai esistita. E allora cammino, o almeno credo di farlo, mentre il mondo osserva il mio vagare con un’espressione che sembra quasi di scherno. Ride. Ride di noi, di me, di questa folle ostinazione. Ma quel riso non è allegro, non ha la leggerezza che consola. È un riso secco, spento, vuoto come una conchiglia dimenticata su una spiaggia deserta. È un ghigno, un’ombra che si apre sul viso del mondo come una ferita che non guarisce. E in quel ghigno, nella sua gelida eco, c’è qualcosa che assomiglia alla fine di tutte le cose.

Eppure, nonostante tutto, continuo a scendere. Continuo a cercarti. Ogni gradino, ogni sasso scivoloso sotto i piedi è un richiamo, una voce che mi dice di andare avanti. Ti cerco senza sapere più nemmeno perché. Ti cerco come si cerca un’ombra in pieno giorno, un riflesso in uno specchio rotto. Forse sei qui, forse no. Forse non ci sei mai stato. Ma non riesco a smettere di inseguire l’idea di te, come se questo potesse bastare a riempire il vuoto che si è fatto dentro. Lo so bene, ne sono consapevole, ogni passo è una confessione silenziosa: è tutto inutile. Irrimediabilmente inutile. Ma l’inutilità non basta a fermarmi. Anzi, forse è proprio l’inutilità a darmi la forza di andare avanti. Nel nulla trovo un senso che non riesco a spiegare, come se continuare a cercarti fosse l’unico modo per non sprofondare del tutto.

E allora scendo ancora, e ancora. Ogni passo è un battito di cuore che potrebbe essere l’ultimo, ma non lo è mai. Ogni battito sembra domandarmi perché insisto, perché non mi arrendo. Non ho risposte, solo un silenzio che mi accompagna come una seconda pelle. E in quel silenzio continuo a cercarti, pur sapendo che non ci sarà nessuno ad aspettarmi in fondo alla strada. Eppure scendo, eppure ti cerco, come se nell’ombra che lascio alle spalle potesse nascere qualcosa di nuovo. Forse, alla fine di questa discesa infinita, ci sarà un’altra illusione ad attendermi, o forse niente. Ma fino ad allora, continuerò.