Stephen Crane era una meteora dalle tinte violacee e scarlatte, bruciante e febbrile, un’anima incandescente che attraversò i cieli del realismo americano come un lampo impossibile da trattenere. Figlio di genitori metodisti, ottavo nato in una casa imbalsamata dalla fede e dalla rispettabilità, già a quattro anni sentiva nelle vene una fame che nessuna morale avrebbe mai potuto saziare. Mentre gli altri bambini si perdevano nell’innocenza dell’infanzia, lui iniziava a scrivere, a trascrivere in parole ciò che la vita aveva di crudele e insensato.
Ma il mondo di Crane era fatto di polvere, di fango, di solitudine e di una bellezza tragica, quella dei vicoli bui e degli esseri dimenticati. Quando a sedici anni iniziò a pubblicare articoli, stava già percorrendo un sentiero che lo avrebbe portato lontano dalla purezza accademica, immergendolo nella feccia e nelle strade di una New York che pulsava come una creatura viva. Abbandonati gli studi, Crane si gettò a capofitto nel ventre della città, pubblicando nel 1893 "Maggie: A Girl of the Streets". Non era un semplice libro; era una ferita aperta, un colpo inferto al lettore borghese che si trovava improvvisamente di fronte all’abisso, al grido disperato di un’umanità reietta, abbandonata ai margini di un sogno corrotto.
E poi giunse "The Red Badge of Courage", scritto nel 1895. Chi avrebbe detto che un giovane, mai nemmeno sfiorato dall’orrore della guerra, sarebbe stato capace di immergersi così nel fango e nel sangue dei campi di battaglia, di ritrarre con tale precisione quel volto bestiale che l’uomo mostra di fronte alla paura? Fu un’opera fatale, che gli conferì la gloria – quella gloria che però Crane sentiva come un cappio, un destino inevitabile.
Intanto, la sua vita si popolava di personaggi torbidi e scandali. Nel 1896, quando si presentò come testimone in difesa di Dora Clark, una prostituta, venne travolto dal fango della stampa scandalistica. La società, sempre pronta a divorare i suoi figli ribelli, iniziò a isolarlo. Ma Crane trovò una nuova alleata nelle ombre di Jacksonville, in Florida: Cora Taylor, tenutaria di un bordello, una donna dal fascino oscuro, da cui fu irresistibilmente attratto e con cui iniziò una relazione. Qui, l’amore non era che un’illusione di purezza: era un abbraccio di anime tormentate, una danza nell’abisso.
Quando decise di partire per Cuba come corrispondente di guerra, la sorte lo volle di nuovo alla mercé della natura crudele. La sua nave affondò e lui si ritrovò su un canotto alla deriva, solo e quasi perduto, una scena che avrebbe narrato nel suo racconto The Open Boat. È un quadro desolante della condizione umana, dipinto come il mare nero che lo circondava, la sua penna trasformata in remo, mentre lottava per mantenersi a galla tra le onde del destino.
Gli ultimi anni di Crane furono una lunga discesa verso la malattia e la miseria. Vagabondò per l’Europa, inseguendo guerre e anime come un poeta decadente, e a Londra trovò rifugio tra menti affini, come Joseph Conrad e H.G. Wells. Ma il suo corpo fragile, consumato dalla tubercolosi, non resse. Morì, infine, in un sanatorio della Foresta Nera, tra l’umidità dei boschi e il freddo dell’aria, come un eroe romantico vittima di un fato ineluttabile.
Ma di Crane si mormora ancora. Pare che prima della fine avesse scritto un romanzo inedito, "Flowers of Asphalt", che avrebbe ritratto l’oscuro mondo di un giovane prostituto gay. Un testo dannato, perduto o distrutto, che nessuno ebbe il coraggio di pubblicare. Il processo a Oscar Wilde, poco tempo prima, aveva chiuso la bocca ai cuori audaci. E così Flowers of Asphalt divenne leggenda, un’eco che riecheggia ancora oggi, e che venne ripreso, in modo quasi profetico, da un film del 1951, dove il tema del coming out si intreccia alla ribellione giovanile.
Nel 2007, come il canto di un’ombra ritrovata, Edmund White recuperò questa leggenda nel suo "Hotel de Dream", rievocando il racconto di un giovane prostituto attraverso i ricordi dell’amico James Gibbons Huneker. Forse era il destino di Crane: lasciarci brandelli della sua anima, dispersi, come fiori sull’asfalto bagnato, l’unico ricordo possibile di una vita vissuta come una febbre, un delirio tra poesia e dannazione.