sabato 28 dicembre 2024

dialogo (appunti)

– Sai cosa mi colpisce di più? Che nessuno voglia mai essere davvero sé stesso. È come se tutti si mettessero a costruire una maschera, un modello ideale. Lo inventano, lo perfezionano, e poi passano il resto del tempo a imitarlo. A volte neanche questo: si accontentano di un modello già scelto da qualcun altro.

– Forse è una forma di difesa. Essere sé stessi è un rischio, una battaglia continua. Mostrarsi per quello che si è davvero significa esporsi, e non tutti se la sentono. Non credi?

– Sì, ma così si perde tutto. Ogni volta che rinunci a essere autentico, rinunci a vivere. Ti riduci a una copia, un’ombra di qualcun altro. E per cosa? Per sentirti accettato da chi, poi?

– Da chiunque, probabilmente. Il bisogno di appartenere è fortissimo, quasi una necessità biologica. Ma è un’illusione, no? Perché se non sei davvero tu, allora chi è che viene accettato?

– Nessuno. È solo un fantasma. Sai qual è la cosa più assurda? Che ciò che sentiamo dentro di diverso, di unico, è la parte migliore di noi. È quello che ci rende vivi, che dà valore a tutto il resto. E invece facciamo di tutto per soffocarlo.

– Già, perché il diverso fa paura. Non solo agli altri, ma a noi stessi. È come guardarsi in uno specchio deformante: vedi qualcosa che non ti aspettavi, e non sai come affrontarlo.

– Forse dovremmo imparare ad amare quel riflesso, per quanto spaventoso possa sembrare. Perché è lì che si nasconde la vita vera, non nella recita quotidiana che mettiamo in scena.

– Ma chi ci insegna a farlo? A nessuno viene mai detto che la sua diversità è un dono. Anzi, ci crescono insegnandoci che dobbiamo uniformarci, rientrare nei ranghi, seguire le regole.

– Regole che spesso non hanno senso. È come se la società avesse paura di troppa autenticità. Meglio un ordine prevedibile, anche a costo di sacrificare la bellezza dell’imprevedibile.

– E così ci si accontenta di sopravvivere. Si prende un modello, lo si segue ciecamente, e si spera che basti a dare un senso alla vita. Ma non è vivere, è... vegetare, forse.

– Sai cosa mi fa rabbia? Che ci raccontiamo di amare la vita, ma in realtà amiamo solo ciò che è comodo, ciò che non ci mette in crisi. La vita vera, quella che pulsa, richiede coraggio.

– Coraggio e una buona dose di follia. Perché ci vuole anche quello, no? Per lasciarsi andare, per accettare che non tutto deve essere perfetto, che si può essere vulnerabili.

– È una follia che ripaga, però. Pensa a quanto si potrebbe scoprire se smettessimo di imitare e iniziassimo a essere. Tutto cambierebbe: le relazioni, le emozioni, persino il modo in cui guardiamo il mondo.

– Sarebbe come svegliarsi dopo un lungo sonno. Ma chissà quanti lo farebbero davvero. A volte penso che ci siamo così abituati alle nostre maschere da non sapere più chi siamo senza di esse.

– È vero. Le maschere, però, sono comode. Ti proteggono, ti rendono accettabile, gestibile. Senza, saremmo troppo... imprevedibili. Forse è proprio quello che spaventa.

– Ma pensa a cosa significherebbe vivere davvero. Essere senza filtri, senza barriere. È lì che nascono le cose più belle: le passioni, le idee, perfino i fallimenti. Tutto sarebbe più autentico.

– Eppure, molti preferiscono una vita sicura, anche se monotona. Sembra quasi che il vero problema sia la libertà. Ci viene data, ma non sappiamo cosa farcene. È troppo vasta, troppo piena di scelte.

– È come avere un oceano davanti e scegliere di restare sulla spiaggia. Non è ironico? Si parla tanto di libertà, ma quando la si ha davvero, fa paura.

– Perché la libertà ti mette davanti alle tue responsabilità. Se scegli di essere te stesso, devi accettare anche il rischio di fallire, di essere rifiutato. È più facile dare la colpa a un modello imposto.

– Ma è una prigione. Una prigione in cui ci entriamo volontariamente, e poi ci lamentiamo che la vita è insipida, priva di senso.

– Eppure la chiave è sempre lì, davanti a noi. Basta girare quella pagina, lasciare che il diverso che abbiamo dentro prenda il sopravvento.

– Ma per farlo, bisogna prima riconoscere di aver paura. E non tutti hanno il coraggio di guardarsi così a fondo. Forse è questo il vero problema: il confronto con sé stessi.

– Però è l’unico confronto che vale la pena affrontare. Perché se non impari a convivere con te stesso, che senso ha convivere con gli altri?

– Esattamente. È un atto d’amore, alla fine. Amore per ciò che siamo davvero, con tutte le nostre imperfezioni. Ma è un amore difficile, perché non ce lo insegnano.

– Forse dobbiamo insegnarlo a noi stessi. Ogni giorno, un passo alla volta. Guardarci allo specchio e dire: Io sono questo. Non perfetto, non conforme, ma vero.