venerdì 20 dicembre 2024

Immaginate un teatro oscuro

Immaginate un teatro oscuro, immenso, sconfinato, dove il sipario non cala mai e la scena si dipinge di ombre e luci infinite, come se ogni istante fosse una pennellata su una tela invisibile. Qui, nell'indifferenza siderale di un vuoto insondabile, l’universo stesso si fa attore e spettatore di un dramma senza trama, un poema senza versi, una sinfonia priva di note, suonata dal silenzio. La vastità intorno, priva di una voce capace di narrarla, sembra sospesa in un’attesa eterna, una pausa infinita in un atto che non si compirà mai.

Le stelle, quei fari lontani, brillano come lampioni su strade deserte, tratteggiando percorsi che nessuno calpesterà. Le galassie, con il loro vortice ipnotico, danzano come danzatrici ebbre, inconsapevoli della gravità che le trattiene e del fragile sguardo umano che, un giorno, cercherà di catturarle per un istante, solo per restituirle subito al mistero.

Il tempo, sovrano silenzioso e impalpabile, scorre senza fretta, come un fiume che non conosce sorgente né foce. Non ha memoria né volontà, si perde nell’assenza di un significato, perché nessun occhio è lì per contemplarlo, nessuna mente per interrogarlo. Tutto è pura esistenza, nuda e crudele, indifferente allo sguardo che un giorno forse vorrà darle un senso. Essa non si cura di essere vista, né compresa, perché nel cuore stesso di questo teatro infinito, il senso è un lusso umano, un’illusione fragile di fronte alla maestosa indifferenza del cosmo.

Poi, come un'eco timida in questa cattedrale di silenzio, si accende una scintilla. Una fiammella incerta, quasi impercettibile, vibra sul margine dell'eterno oblio, spezzando l'infinita quiete con la promessa di qualcosa di inaudito. Su un minuscolo frammento di polvere vagante nell’abisso cosmico, la vita si arrampica dai recessi del nulla, fragile come il battito d’ali di una falena in balia del vento, eppure colma di un’arroganza sublime, quella di sfidare il vuoto stesso.

Da questa culla precaria, modellata da carne, ossa e pensiero, si erge l’intelletto: un lampo di coscienza che squarcia l’oscurità come un fulmine nella notte più profonda. È un prodigio, un’insolenza contro il caos, e tuttavia non privo di contraddizioni. Già nella sua aurora, l’intelletto porta in sé il seme del crepuscolo, una consapevolezza strisciante che il suo splendore è destinato a sfiorire.

Come il sole che si tinge d’oro e porpora prima di sprofondare dietro l’orizzonte, l’intelletto brilla, consapevole del suo effimero trionfo. Ogni idea, ogni slancio creativo è un grido contro l’infinito, ma anche una confessione: il peso della propria illusione, l’inquietante consapevolezza che tutto ciò che illumina è destinato, prima o poi, a svanire.  Eppure, è proprio in questa fragilità che si annida la sua grandezza: la capacità di vedere il tramonto e celebrarlo, di abbracciare il limite e trasformarlo in eterno.

Gli uomini, esseri fragili fatti di carne e sogni, si svegliano ogni mattina in un mondo che sentono loro, come se fosse stato scolpito dalle loro mani invisibili. Fissano il cielo sopra di loro, e con occhi pieni di speranza e orgoglio, vi leggono storie antiche, interpretano segnali e presagi che credono rivelatori di verità universali. Le foreste che li circondano, con i loro alberi secolari e il silenzio che aleggia tra le fronde, diventano per loro il riflesso di simboli profondi e misteriosi, come se la natura stessa parlasse un linguaggio segreto che solo loro sono in grado di comprendere. Ogni rumore, ogni respiro del vento porta con sé l'eco di voci divine, come se ogni sussurro fosse una risposta a domande antiche quanto l'uomo stesso.

Nel loro incessante bisogno di dare ordine e significato al caos, ogni elemento della loro esistenza, dal mare sconfinato all'infinitamente piccolo fiore che sboccia timidamente, viene trasformato in una parola, un segno da decifrare, un mistero da risolvere. Con ogni passo che fanno, gli uomini sembrano scrivere un libro dell'universo, come se avessero il potere di leggere e comprendere l'essenza di ogni cosa. Eppure, nel loro desiderio di possedere il mondo, si convincono che il nominarlo sia il modo per dominarlo, per imporre a tutto ciò che li circonda una logica, una forma che credono definitiva e incontestabile.

Costruiscono templi maestosi per i loro dèi, innalzano altari per i timori che li tormentano, e tracciano mappe intricate per inseguire i desideri che li spingono avanti. In tutto ciò, però, non vedono che una proiezione della loro vanità, una convinzione che ciò che creano sia la misura del loro potere. In realtà, quello che costruiscono non è altro che una rete di illusioni, un'ombra di certezze tese su un abisso di incertezze. Ogni conquista, ogni segno, ogni nome che attribuiscono al mondo non è che una traccia temporanea, un tentativo di fermare il flusso dell'esistenza, di addomesticare l'infinito, come se potessero davvero possedere qualcosa che è destinato a sfuggire per sempre.

Pensano di essere al centro dell’universo, come se fossero i figli prediletti di un disegno celeste, scelti per un destino speciale che li lega all'infinito. Ogni loro passo, ogni loro pensiero, sembra incarnare una parte di quel piano misterioso, e in questo inganno trovano un rifugio sicuro, come un bambino che si culla nel conforto di una ninna nanna, incantato dal dolce suono delle parole che lo avvolgono. Questa illusione li rassicura, perché gli esseri umani hanno sempre avuto il bisogno di sentirsi protagonisti, di credere che il loro cammino sia tracciato e che, in qualche modo, possiedano il controllo sul proprio destino. Ma il tempo, implacabile e inesorabile, non fa prigionieri. Distrugge le certezze che li sorreggono, frantuma le loro convinzioni più radicate e lascia, in cambio, solo il vuoto di un’incertezza sempre crescente.

La scienza, con il suo rigore e la sua asetticità, prende il posto del mito. L'antico racconto di dèi e leggende si dissolve in un mare di numeri e di formule. Il calcolo, freddo e preciso, sostituisce il canto, e il cuore delle emozioni si riflette nelle rigide leggi della fisica, come se ogni fenomeno dovesse essere spiegato attraverso l'intelletto, senza più spazio per il mistero o per la meraviglia. Gli uomini, con la loro incessante fame di conoscenza, si abbandonano a un processo di scomposizione del mondo, un tentativo di ridurre l'infinito a leggi, a teoremi, a schemi che possano essere compresi e definiti. Eppure, nel loro ardente desiderio di avvicinarsi alla verità, non si rendono conto che ogni scoperta, ogni nuova rivelazione scientifica, li allontana sempre più da essa, come se la verità fosse un orizzonte che si ritrae all'infinito, sfuggente e irraggiungibile, nonostante i progressi che sembrano conquistare. La realtà si fa sempre più complessa e l’uomo, pur avendo svelato tanto, sembra capire sempre meno, intrappolato in una rete di conoscenze che non riesce a legare in un tutto coerente.

L’universo, vasto e impassibile, si estende oltre ogni confine della comprensione umana, ignorando le piccole vite che si agitano sulla Terra. Lontano dal dramma delle loro esistenze, non risponde né alle loro domande né ai loro desideri. Le stelle, che per l’uomo rappresentano la speranza e il mistero, non brillano per lui. I fiumi, che scorrono con la loro infinita pazienza, non sono lì per dissetarlo, e le montagne, che si ergono silenziose e maestose, non si curano di proteggerlo. Non esiste per l’universo un senso di giustizia o di scopo, eppure, contro questo scenario di totale indifferenza, l’uomo non cede. Nonostante l’assenza di risposte, nonostante il disinteresse della natura cosmica, l’essere umano insiste con determinazione. Costruisce torri che cercano di sfiorare il cielo, telescopi sempre più potenti per scrutare l’infinito, e macchine destinate a sfidare i limiti del tempo e dello spazio. Ogni sua creazione, ogni passo che compie, è una ribellione contro l’indifferenza dell’eterno, un atto di resistenza contro l’impotenza di fronte all’universo. L’uomo non si accontenta della sua insignificanza. In ogni gesto, nella ricerca di un senso, nel tentativo di decifrare il mistero della vita e dell’universo, si fa portatore di una lotta che va oltre la sua stessa esistenza. La sua volontà è un'eco contro il silenzio cosmico, una sfida a ciò che sembra non curarsi di lui.

Ma il tempo, sovrano implacabile e indifferente, si prende gioco delle sue più ardenti ambizioni. Le città, un tempo pulsanti di vita, animate da luci danzanti e suoni che si intrecciavano come melodie senza fine, ora si fanno rovine silenziose, mute testimoni di un'epoca che non c'è più. I libri, un tempo custodi sacri della conoscenza e della memoria, si sfaldano sotto il peso degli anni, le loro pagine si trasformano in polvere che scivola via tra le dita, come se nulla fosse stato mai scritto. Le statue, erette in onore di uomini leggendari e dèi immortali, ora si sgretolano sotto l'incessante forza del tempo, il marmo che li scolpiva perde la sua forma originaria, consumato da pioggia, vento e dall'invisibile corrodere del nulla. Il sole, che un tempo, in tutto il suo splendore, riscaldava le carni di chi camminava sulla terra, si spegne lentamente, lasciando spazio a un pallido crepuscolo che, come un velo di tristezza, avvolge il mondo. E quando l'ultima luce si spegne, quando il chiarore del giorno svanisce e il silenzio più profondo ritorna sovrano, l'universo, nell'indifferenza della sua immensità, non si accorge nemmeno della loro assenza. Nulla si ferma, nulla cambia. L'eternità continua a scorrere, mentre ogni traccia di esistenza si dissolve nell'abisso dell'oblio.

Eppure, nel loro breve e precario momento di esistenza, gli uomini creano. Cantano, scrivono, dipingono, danzano, e con ogni gesto, con ogni parola, con ogni pennellata, cercano di affermare il loro passaggio attraverso il tempo, come se, in un universo che scorre senza fine, la loro presenza, per quanto fugace, potesse acquistare significato. Riempiono il vuoto che li circonda con la loro arte, trasformando il caos, l’incertezza e l’assurdo in una forma di bellezza che, seppur effimera, appare come un riflesso di verità. Come il viaggiatore che, smarritosi nel deserto, traccia un sentiero sulla sabbia, segnando il suo percorso in un luogo senza tracce, così essi segnano l’eternità con la loro fragile luce, una luce che, pur nel suo splendore, è destinata a spegnersi. Ma ogni loro creazione, pur nel suo splendore momentaneo, è destinata a svanire, come un’onda che si frange sulla riva, lasciando dietro di sé solo il ricordo di un’impronta, di un’eco che svanisce nell’aria, ma che, nel suo breve apparire, ha fatto della vita qualcosa di più di una semplice esistenza.

Se potessimo parlare con una zanzara, scopriremmo che, nonostante la sua dimensione ridotta e la sua breve vita, anche lei si percepisce come il centro del suo piccolo universo. Ogni battito delle sue ali, ogni volo nel crepuscolo che annuncia la fine di un giorno e l'inizio di un’altra notte, ogni goccia di sangue che riesce a estrarre con la sua proboscide è, per lei, un atto sacro, un momento di assoluto trionfo. Ogni istante della sua esistenza, per quanto minuzioso e invisibile agli occhi di un essere umano, è vissuto con una convinzione ferma e incrollabile nella sua centralità. La sua esistenza è fatta di atti puri, perché per la zanzara ogni volo nel cielo notturno è l’espressione della sua grandezza, ogni piccola puntura un trionfo.

E così, in realtà, è per ogni creatura vivente, grande o piccola, visibile o invisibile: dall’imponente elefante che calca la terra con il suo peso maestoso, i suoi passi che rimbombano nell’aria, un monito della sua indiscutibile presenza sulla terra, fino al minuscolo filo d’erba che si piega e danza sotto il vento. Quel filo d’erba, che si piega con grazia e sofferenza, si sente legato alla terra come se fosse l’unica creatura in grado di assorbire la luce del sole e di nutrire l’intero ecosistema. Così, ogni creatura, per quanto umile o fugace possa sembrare, è intrisa di un’arroganza divina, di una certezza cieca e assoluta che il mondo ruoti attorno a lui. Ogni essere ha dentro di sé la convinzione che, senza la sua presenza, l’equilibrio dell’universo sarebbe minacciato.

L’arroganza della vita non ha confini, non ha limiti; essa si espande attraverso ogni angolo del mondo naturale, trascendendo la nostra comprensione. Ogni passo che compie una formica sulla terra rossa, ogni volo di un uccello che attraversa il cielo, ogni ruggito di un leone nella savana è la conferma che, per quel breve momento, il mondo intero si concentra su di lui. Non c’è distinzione tra la grande e la piccola vita in questa danza cosmica: tutto è ugualmente certo, ugualmente sacro. La zanzara, pur insignificante agli occhi umani, si sente parte di un disegno che la vede protagonista assoluta, così come il gigantesco albero che si staglia nel paesaggio, convinto che i suoi rami siano i veri custodi dell'orizzonte.

La vita stessa, nella sua infinita varietà e diversità, è una continua esplosione di egocentrismo cosmico. Ogni essere vivente, pur nell’infinità dei suoi gesti, nelle sue lotte quotidiane per la sopravvivenza, crede fermamente che tutto sia stato creato per lui, che ogni evento, ogni piccolo cambiamento, ogni battito del cuore sia il centro di un universo che gira intorno alla sua esistenza. Perfino la pioggia che cade con la sua caducità e il vento che sussurra tra le fronde degli alberi sembrano parlare di un mondo che esiste solo per e grazie a ciò che tocca, che cambia, che sfiora. Ogni piccola, insignificante azione di ogni creatura vive con una certezza che trascende ogni comprensione: il mondo, in quel preciso istante, è solo suo.

Questa percezione di centralità è un filo che unisce ogni essere vivente, dai più umili ai più grandi, come se ciascuno fosse una piccola parte di un mosaico perfetto, ma irriducibilmente convinto di essere la tessera più importante. La vita, in fondo, è una grande illusione di centralità, un gioco di specchi che riflettono il nostro essere nel mondo, come se ogni battito d’ali di una zanzara fosse un’eco di tutti gli altri battiti dell’universo. E nel loro insieme, tutti gli esseri viventi formano una sinfonia di esistenza, ognuno con la sua convinzione di essere l’elemento indispensabile.

Forse è proprio questa illusione, questa speranza che sfida la razionalità, a rendere la vita degna di essere vissuta. È un faro che brilla, seppur flebile, nel buio della nostra esistenza, una spinta che ci induce a cercare risposte, a esplorare i confini del possibile e dell’impossibile. È ciò che ci spinge a creare dal nulla, a tessere sogni, a costruire ponti tra il presente e l’eternità, a immaginare mondi che non esistono, ma che sono reali nella nostra mente. In questa costante tensione verso il futuro, l’uomo lotta con tutto se stesso contro il nulla, contro l’indifferenza cosmica, come un eroe solitario che, pur sapendo di essere destinato alla sconfitta, non smette mai di combattere. È una lotta che non chiede né la vittoria né il trionfo, ma solo il coraggio di affrontare l’infinito mistero dell’esistenza.

È ciò che trasforma la nostra fragilità in forza, il nostro essere finiti in una ricerca di senso che va oltre la nostra stessa comprensione. La finitezza umana, anziché rappresentare un limite, diventa la condizione attraverso cui sperimentiamo la nostra libertà più pura. La consapevolezza della nostra brevità ci spinge a cercare un senso, a lasciare un’impronta nel mondo, anche se sappiamo che questa impronta svanirà con il tempo. Eppure, proprio in questo sforzo di permanenza, l’uomo sfida la sua natura effimera, tentando di superare il proprio destino di polvere, cercando una forma di eternità, un eco che risuoni ben oltre il proprio corpo.

L’intelletto, pur consapevole della propria insignificanza nell’ordine cosmico, continua a illuminare l’oscurità come una candela che sfida il vento. Questa luce, fragile e tremolante, non è altro che il riflesso del desiderio umano di trovare verità, di dare ordine all’infinito caos. È una luce che non cessa mai di brillare, nemmeno quando la realtà sembra soffocarla, nemmeno quando la ragione si scontra con l’abisso dell’ignoto. L’uomo, armato della sua intelligenza, si erge a piccolo testimone della grandezza dell’universo, ma lo fa con una determinazione che trascende ogni apparenza di debolezza. La candela, pur esposta alla furia del vento, continua a bruciare, consapevole che la sua esistenza, seppur effimera, è tutto ciò che può offrire in risposta all'immensità che lo circonda.

In questa lotta tra il finito e l’infinito, tra la luce e l’ombra, l’uomo trova il suo significato. Non in una vittoria definitiva, ma nel cammino stesso, nella consapevolezza che ogni passo, ogni errore, ogni successo sono parte di una storia che va oltre la sua esistenza individuale. La luce della candela, seppur destinata a spegnersi, lascia dietro di sé una traccia nel buio, una traccia che, in qualche modo, risuona nell’eternità. E forse, proprio in questa tensione, l’uomo trova la sua vera grandezza: nel non arrendersi mai, nel continuare a cercare, a sfidare il vuoto, a credere che ogni scintilla di speranza, per quanto piccola, possa ancora trasformare la realtà.

Così, mentre le stelle, distanti e impassibili, continuano a brillare nel loro freddo e misterioso splendore, e il tempo, che non si ferma mai e non si lascia rallentare da alcuna esistenza, scorre implacabile e senza pietà, l’uomo vive. Vive con tutta la sua complessità, con la sua inquietudine, con la sua inesorabile ricerca di significato. Nel suo vivere, nel suo pensare, nel suo incessante desiderio di comprendere, nel suo sforzo di plasmare la realtà, di darle forma attraverso il pensiero e l’azione, l’uomo si trova spesso ad affrontare un vuoto che l’universo non sembra riconoscere. Ogni sua azione, ogni parola che pronuncia, ogni battito del cuore che lo spinge a continuare, è un grido contro il silenzio dell’infinito, un atto di ribellione verso una realtà che sembra non prestare attenzione ai suoi sforzi. In questo grido, in questo atto di amore sconfinato e irragionevole, si cela una bellezza profonda, una grandezza che non può essere misurata dalle leggi dell’universo o dalla fredda razionalità.

L’amore dell’uomo per il mondo, nonostante il mondo spesso non lo ascolti, è un amore che trascende l’impossibilità di trovare una risposta, un amore che si nutre di speranza e di sogni, di visioni che vanno oltre il tangibile. Questo amore non si arrende, nemmeno quando tutto sembra suggerire che sia inutile. Ogni passo, ogni gesto, ogni sforzo che l’uomo compie, ogni creazione che porta al mondo, è come un atto di fede. Un atto di fede in qualcosa che va oltre la sua comprensione, una fede che si radica nel cuore e che non trova riposo, nemmeno davanti all’inesorabile scorrere del tempo. Eppure, proprio in questo amore che non chiede nulla in cambio, in questo grido che non aspetta risposta, in questo incessante cercare senza trovare mai un riflesso, risiede la vera grandezza dell’uomo. La grandezza che non deriva dai risultati che ottiene, dalle conquiste che riesce a raggiungere, ma dalla sua capacità di andare avanti nonostante tutto, di creare nonostante l’indifferenza dell’universo.

La sua forza non sta nell’acquisire certezze, ma nel perseverare con dignità, nel non lasciarsi sopraffare dalla solitudine che può derivare dal suo essere insignificante in un universo così vasto. È questa sua costante ricerca di senso, anche quando sembra che il mondo non risponda mai, che lo rende straordinario. Non è forse la grandezza dell’uomo nel suo continuo tentativo di amare e dare vita a qualcosa di nuovo, di unico, in un mondo che talvolta sembra nemico della sua stessa esistenza? La sua bellezza sta nel non arrendersi, nell’abbracciare il mistero e nell’accettare che la risposta, forse, non arriverà mai. Eppure, in questo accettare il silenzio, in questo sfidare la paura dell’indifferenza, l’uomo trova un senso che non è dato da chi o cosa lo osserva, ma dalla sua stessa capacità di resistere, di rimanere aperto all’amore, al dolore e alla gioia del vivere. In questo eterno sforzo, l’uomo raggiunge una forma di grandezza che nessuna legge dell’universo può mai negargli.

Nel grande e incomprensibile teatro del cosmo, l’uomo, una creatura effimera e fragile, non è che un attore minore, una figura che si inserisce in un dramma di dimensioni impensabili, un piccolo personaggio che, come ogni altro, è destinato a dissolversi dietro le quinte, travolto dal flusso inarrestabile del tempo e dall'immensità dello spazio. La sua esistenza, che si svolge in un battito di ciglia rispetto all’infinità dell’universo, non è che un piccolo frammento, una scintilla che brilla per un attimo nell’immenso cielo del cosmo. L’attore, pur consapevole della sua insignificanza, continua imperterrito a vivere e recitare, perché l’essenza stessa della sua esistenza è quella di cercare, di sforzarsi di dare un senso, di esplorare il mistero che avvolge ogni cosa. Eppure, in quel breve periodo in cui si trova sulla scena, l’uomo recita con passione, con una forza che sfida le leggi naturali, con una potenza interiore che lo spinge ad affrontare ogni difficoltà, a lottare contro il caos e l’incomprensione. Non si accontenta di esistere passivamente, ma vuole trasformare ogni istante in un atto di creazione, ogni gesto in un segno indelebile.

Nonostante la consapevolezza che la sua presenza sia destinata a svanire senza lasciare traccia, l’uomo continua a vivere con splendore. Ogni sua azione, ogni sua parola, sembra voler rivelare una verità più profonda, una realtà nascosta che trascende il visibile e il tangibile. L’essere umano, per quanto piccolo, non si arrende alla sua finitudine; al contrario, sfida la sua condizione, come se ogni istante fosse l’occasione per riscrivere le leggi del cosmo, per farsi un posto nell’infinito. C'è un’energia straordinaria in questa lotta, una forza che nasce dal desiderio di lasciare un segno, anche se, in fondo, sa che il suo impatto sarà destinato a essere invisibile, silenzioso. Nonostante tutto, l’uomo non si arrende al destino che sembra tracciato per lui, ma si fa portatore di una passione che non conosce limiti, di un desiderio che non può essere spezzato dalla vanità del tempo.

Eppure, alla fine, forse la cosa che conta davvero non è che l'uomo abbia un pubblico, che qualcuno lo osservi, che qualcuno lo ascolti. Non importa se la platea dell’universo è vuota, se nessuno lo applaude, se nessun occhio vede la sua performance. In fondo, l'importante è che, nonostante la sua solitudine cosmica, l’uomo ha avuto il coraggio di salire su quel palcoscenico e di dare voce alla propria essenza. Non c’è bisogno di un pubblico per convalidare la bellezza del suo atto. La vera grandezza risiede nel fatto che, per quanto il suo tempo sulla scena sia breve e la sua presenza piccola, l’uomo è riuscito a farsi sentire. La sua voce, per quanto lieve, ha avuto la forza di risuonare nell’eternità, di vibrare nelle profondità dello spazio, di attraversare il muro del silenzio che avvolge l'universo. Per un istante, il suo respiro ha incontrato quello dell’infinito, e la sua parola ha scosso la quiete dell’esistenza, imprimendo un segno che non può essere cancellato.

Ciò che rende la sua vita significativa, non è la durata di quel momento, né l'importanza che può avere per gli altri, ma il fatto che esso è stato un momento di assoluta pienezza, un attimo in cui l'uomo ha sentito la propria esistenza come qualcosa di straordinario, di imprescindibile. È sufficiente sapere che, anche se il suo passo è stato fugace, esso ha attraversato il mondo con una consapevolezza rara, con la forza di chi sa che, al di là dell’apparenza, ogni istante ha un valore immenso. Non conta che il suo gesto non rimarrà nei libri di storia, che nessuna commemorazione lo onorerà, che nessuna statua sarà eretta in suo nome. Ciò che importa è che, nell'infinitamente piccolo del suo essere, l’uomo ha trovato la chiave per comprendere l’immensità dell’universo. Ha visto il grande disegno nascosto dietro l’apparente caos, ha percepito l'armonia che unisce tutte le cose, anche quando esse sembrano lontane e disgiunte.

Alla fine, la vita umana, nel suo essere effimera, non è altro che un atto di bellezza pura. Un atto che non ha bisogno di approvazione, che non deve rispondere a nessun giudizio esterno. Ogni gesto dell’uomo è un inno alla vita, un canto che celebra la sua stessa esistenza, anche quando questa sembra essere destinata a svanire. È sufficiente sapere che, per quanto piccola sia la sua voce, essa ha avuto un posto nell'infinito, che ogni pensiero, ogni emozione, ogni movimento del suo cuore sono stati un contributo a un disegno più grande, un riflesso di qualcosa che va oltre l'individualità e tocca l'universale. Non importa che quella traccia sia invisibile agli occhi degli altri, perché essa è scolpita nella memoria del cosmo, che conserva ogni respiro, ogni battito, ogni attimo di vita, come una scintilla che non si spegne mai, ma continua a brillare nell’oscurità, sempre presente, sempre viva.