martedì 17 dicembre 2024

Si dice che la solitudine, l'isolamento, sia la via della forza, una strada tortuosa, ma necessaria, che chiunque scelga di percorrere diventa più solido, più deciso, un uomo nuovo. "Ti fa le ossa", ti ripetono con una solennità che sembra derivare da un'antica tradizione, come se la solitudine fosse un rito sacro, un processo alchemico che trasforma la miseria dell'uomo in una gloria eterea. Ma questa dottrina non è mai completa, come un pentimento che non arriva mai alla piena confessione. "Diventi uomo", dicono, come se l’uomo fosse una creatura che deve essere forgiata, piegata e temprata dall'isolamento, dalla solitudine, dalla rinuncia a tutto ciò che è umano. La solitudine ti rende "indistruttibile", ti dicono, ma nessuno ti avverte mai dei suoi inganni. Nessuno ti dice che l’invulnerabilità non è altro che una maschera che celia un corpo vuoto, incapace di sentire, incapace di vivere. Che cosa significa veramente "diventare uomo"? Significa forse diventare impermeabili alle emozioni, rinunciare alla carne, allo spirito che palpita sotto il peso della sofferenza e della gioia? Diventare uomo, come ti insegnano, significa solo diventare un monolite, qualcosa di inamovibile, che non conosce né la dolcezza né il dolore. Un essere che cammina sulle rovine della propria umanità.

Negli ultimi anni, qualcosa dentro di me ha urlato il desiderio della solitudine. Non il desiderio di isolamento come fuga, ma come un'esigenza profonda e quasi dolorosa, come una necessità vitale che non sapevo spiegare. Un vuoto che si insinua nei recessi più oscuri della mente, come un serpente che si infiltra silenzioso sotto la pelle, e ti consuma. Ho sentito il bisogno di ritirarmi nel nulla, di abbandonare tutto ciò che mi legava alla realtà e al mondo. Frammenti di cuore, pezzi di vita, che si sono persi lungo il cammino, come foglie morte portate via dal vento gelido del disincanto. Ogni pezzo di me che svaniva, ogni frammento di quella carne che un tempo pulsava di desideri, di emozioni, diventava parte di una corazza che cresceva e si compattava in un silenzio che non volevo, ma che non riuscivo a fermare. Un’armatura invisibile, che cresceva ogni giorno, che si faceva sempre più pesante e rigida, come il metallo che non lascia spazio alla carne. Ogni passo che facevo mi allontanava sempre di più dall'essere umano che ero, e mi avvicinava sempre di più a questa figura solitaria, fredda, incrollabile, come una statua di marmo che non sa più nulla del mondo che la circonda.

Ma chi ti dice che la solitudine ti fortifica non ti parla mai del suo vero volto. Nessuno ti avverte che l'isolamento, invece di purificarti, ti appesantisce. La corazza che indossi, pensata per proteggerti dalle ferite del mondo, ti immobilizza, ti schiaccia sotto il suo peso crescente. All'inizio ti sembra che ogni strato che aggiungi sia un passo verso la salvezza, un atto di forza, una nuova conquista. Ma ben presto ti accorgi che la corazza che ti sei costruito è una prigione. Non la vedi all'inizio, perché pensi che sia la tua protezione, il tuo scudo contro la sofferenza. Ma, come ogni prigione, ti separa dal mondo, ti isola, ti rende sempre più distante. Strato dopo strato, ti ritrovi imprigionato in un guscio che non è solo fisico, ma anche emotivo, psichico. La solitudine diventa una forma di paralisi, una paralisi che non ti permette più di toccare, di sentire, di abbracciare il calore umano, di essere toccato dalla bellezza del mondo che ti circonda. L'isolamento ti rende sempre più pesante, e tu diventi come un monolite, una massa immobile che osserva il mondo senza più parteciparvi, come una pietra che è diventata troppo dura per essere modellata.

Ogni passo che fai ti sembra lento, faticoso, come se il tuo corpo fosse un corpo di pietra, incapace di muoversi liberamente, incapace di reagire al mondo che ti circonda. L’armatura ti rallenta, ti isola, ti indebolisce. Ti stai forse proteggendo dalla vita, ma non ti accorgi che ti stai anche proteggendo dalla morte. Non riesci più a respirare senza il peso di questa corazza che non è più solo un vestito, ma una condizione dell’anima. Invece di renderti invincibile, ti fa morire lentamente, ma senza un finale, senza una fine che ti permetta di liberarti. La solitudine non è una protezione, è un macigno che ti schiaccia sotto il suo peso, e il più grande inganno è credere che il peso dell'isolamento ti renda più forte, che ti renda più intero, quando invece ti spezza in mille frammenti. La solitudine ti porta ad essere una figura monolitica, sì, ma una figura che non ha più nulla da dare al mondo, una figura che non può più essere amata, che non può più ricevere nulla, né dal mondo né da se stessa.

Eppure, nonostante tutto, l'isolamento ti ha ingannato. Ti ha promesso la forza, ti ha promesso la protezione, ti ha promesso che, con il passare del tempo, saresti diventato una creatura invulnerabile. Ma ciò che non ti ha detto è che, in realtà, ti ha trasformato in una statua di pietra. La solitudine ti ha reso immortale nella sua freddezza, ma ti ha tolto la capacità di vivere, di sentire, di amare. E ora, quando guardi il mondo, ti rendi conto che la tua armatura non è stata una conquista, ma una condanna. Un eterno isolamento che ti ha reso estraneo a te stesso, che ti ha tolto il respiro, che ti ha trasformato in un’ombra di ciò che potevi essere.