Il locale era ormai quasi vuoto, il brusio delle poche conversazioni attorno a loro ridotto a un mormorio indistinto. I due uomini non avevano più bisogno di guardare l’orologio: il tempo sembrava essersi allungato, sospeso, come se il mondo esterno fosse lontano e le loro parole avessero preso il posto di tutto il resto. Ogni sguardo e ogni parola erano come tessere di un mosaico che si stava componendo lentamente, eppure con una precisione che si sentiva nell’aria.
"Mi sembra di non riuscire a staccarmi da quello che gli altri dicono. Ogni parola, ogni sguardo, ogni giudizio mi sembra un peso insostenibile," disse il primo uomo, con la voce stanca, come se avesse appena lottato per un lungo periodo contro qualcosa che non riusciva a comprendere. "Ogni volta che qualcuno dice qualcosa che mi tocca, mi sembra di perdere il controllo, di non riuscire a respirare."
L'altro uomo lo guardò, un sorriso lieve ma profondo si dipinse sul suo volto. Non era un sorriso di disprezzo, ma un sorriso che sembrava condividere il peso delle sue parole, come se riconoscesse una parte di sé nelle sue difficoltà. "Lo capisco," rispose lentamente. "Tutti noi, almeno una volta, ci siamo trovati a vivere la stessa cosa. Ci sembra che le parole degli altri ci definiscano, che ci dicano chi siamo. Ma la verità è che non sono le parole che ci feriscono, è il nostro attaccamento a quelle parole."
Il primo uomo si piegò in avanti, le mani intrecciate sul tavolo, come se cercasse una risposta che potesse davvero sbloccare il nodo che sentiva dentro di sé. "Ma come faccio a smettere di prenderle sul personale? Non posso semplicemente ignorare quello che mi dicono. È come se il loro giudizio fosse una parte di me."
L’altro uomo prese un respiro profondo, come se stesse cercando di mettere insieme i pensieri giusti, quelli che avrebbero fatto davvero la differenza. "Non devi ignorare nulla," disse, con voce bassa ma sicura. "Si tratta di non permettere a quel giudizio di entrare dentro di te. Si tratta di separarti da quello che gli altri pensano di te. Le loro parole sono solo un riflesso delle loro emozioni, delle loro insicurezze. Non sono un riflesso di chi sei veramente."
Il primo uomo lo guardò, ma sembrava non riuscire a capire del tutto. Non poteva ignorare quanto gli veniva detto, non poteva semplicemente allontanarsi da quel dolore. "E allora cosa faccio? Come posso separarmi da tutto ciò?" chiese, il suo tono ora mescolato a una leggera disperazione. "Se non reagisco, se non dico nulla, non sembrerò debole, vulnerabile?"
L’altro uomo sorrise di nuovo, ma stavolta il suo sorriso era più ampio, come se avesse finalmente trovato la giusta via per rispondere a quella domanda così difficile. "Il vero potere," disse, "non sta nell’essere sempre pronti a rispondere, a lottare contro ogni parola che ci ferisce. Il potere sta nel fermarsi. Nel non lasciare che le parole, anche quelle dolorose, ci colpiscano come pensiamo che dovrebbero. Quando rispondiamo subito, quando ci difendiamo automaticamente, stiamo solo alimentando la lotta. Il vero potere è la moderazione."
Il primo uomo rimase in silenzio per un momento, come se stesse cercando di metabolizzare quelle parole. Non sembravano avere senso all'inizio, ma piano piano cominciavano a prendere forma. "Moderazione?" ripeté, come per confermare, ma anche per capire meglio. "Quindi dovrei essere… distante? Indifferente?"
L’altro uomo scosse la testa con fermezza. "Non è indifferenza," rispose con calma. "Non si tratta di non sentire nulla, di non emozionarsi. Si tratta di non lasciare che siano le emozioni a controllarti. Non devi essere distante, devi semplicemente non aggrapparti a ciò che ti viene detto. Devi respirare e lasciare andare le cose. Quando ti aggrappi troppo, quando ti arrabbi per ogni piccola cosa, perdi il controllo su te stesso. E ti assicuro, nessuna emozione che reagisce con rabbia o paura ti renderà mai più forte."
Il primo uomo chiuse gli occhi per un attimo, come se volesse visualizzare ciò che l’altro gli stava dicendo. Ma non riusciva a vederlo chiaramente, c’era ancora confusione dentro di lui. "Ma come posso fare a lasciare andare? Come posso respirare quando tutto mi sembra una sfida?" La sua voce tradiva una frustrazione crescente, come se avesse bisogno di una risposta più pratica, più concreta.
L’altro uomo non rispose subito, ma si alzò lentamente dalla sedia, come se volesse dimostrargli con i fatti quello che stava cercando di spiegare con le parole. Si avvicinò a una finestra e guardò fuori per un momento, come se stesse cercando la giusta immagine per spiegare ciò che voleva dire. Poi si girò verso di lui, il volto sereno.
"Guardati intorno," disse con voce bassa, ma ferma. "Vedi quante cose ci sono intorno a noi? Vedi tutte le piccole cose che accadono ogni giorno e che ci passano accanto senza che ce ne accorgiamo? Tutte quelle piccole cose non hanno alcun potere su di noi, a meno che noi non decidiamo di dare loro quel potere. La vita è fatta di momenti. Se ci aggrappiamo a ogni parola, a ogni giudizio, non viviamo, ma siamo schiavi di ciò che gli altri pensano di noi."
Il primo uomo lo guardò, finalmente colpito dalla chiarezza di quelle parole. C’era qualcosa di così semplice e profondo in ciò che l’altro stava dicendo. Era come se finalmente avesse trovato la chiave per aprire una porta che sembrava sempre chiusa.
"E se non ci riesco?" chiese, quasi sussurrando, ma con una fragilità che non riusciva più a nascondere.
L’altro uomo si avvicinò di nuovo e si sedette di fronte a lui. La sua presenza, calma e rassicurante, sembrava avvolgerlo come una coperta calda in una notte fredda. "Non è facile," disse con sincerità. "Non ci riusciremo sempre. Ma ogni volta che non risponderai subito, ogni volta che sceglierai di non reagire, darai un passo in più verso la libertà. Non devi essere perfetto, non devi fare tutto bene. Devi solo scegliere di non essere dominato dalle parole degli altri. Respira. Lascia andare. Non tutto merita la tua reazione."
Il primo uomo annuì lentamente, il cuore che si alleggeriva un po’, come se stesse finalmente vedendo uno spiraglio di luce in un luogo che sembrava troppo oscuro. "Respirare," ripeté, come se volesse imparare la lezione nel modo più profondo. "Lasciare andare."
"Esatto," rispose l’altro, con un sorriso che sembrava una benedizione silenziosa. "E quando imparerai a fare questo, ti accorgerai che non hai bisogno di difenderti da tutto. La pace arriverà da sola, perché non sarà più il mondo a determinare chi sei, ma tu."
Un lungo silenzio cadde tra di loro, non un silenzio vuoto, ma pieno di una quiete nuova, una quiete che sembrava cominciare a farsi spazio in mezzo a tanta frenesia. Il primo uomo guardò fuori dalla finestra, come se vedesse il mondo per la prima volta con occhi nuovi. Non c’era più paura, non c’era più ansia per quello che sarebbe potuto accadere. C’era solo una consapevolezza che cominciava a germogliare dentro di lui, una consapevolezza che forse, finalmente, avrebbe trovato il coraggio di respirare e lasciare andare.