giovedì 12 dicembre 2024

Ragazzino farfalla

Quando cammino eguale alla massa,
l'acrobazia che in sé tutto serra,
mi sospende in un luogo ove s'afferra
il senso fragile della gran cassa.

E intanto il tempo scivola, disperso,
in mille strade che non han confine,
sulla mia pelle brucia le rovine
di un sogno, e lascia un segno rovesciato e immerso.

E là, nel fondo, il margine sottile
tra il mio cammino e l'ombra che mi guida,
tutto si scioglie in un deserto vile,
e il passo incerto nella sabbia grida.

È qui che il tempo, ragazzino in volo,
si fa farfalla, mai davvero esposta,
e in quel suo viso, la mia mano imposta
parole mute, pronte a farsi duolo.

Sul suo sorriso, spento come argilla,
mi poso anch’io, sospeso tra i respiri,
e nelle sue pupille, amari zaffiri,
vedo il riflesso d’una luce instilla.

Come la luna, curva sulla notte,
vela i suoi raggi dietro nubi spente,
così lui cela un cuore che si lotte,
un palpito segreto e trasparente.

Grande Vestita d'Azzurro, natura
di pietre d'olio, tua sensibil grazia
nervosa mi dà forza, eppure sazia
sol d'acqua marina un’ombra oscura.

In te ritrovo il fremito celato,
il canto muto d’una linfa antica,
e in questo vincolo la mia fatica
è dolce schiavitù, velato fiato.

Eppure il tuo dominio non è greve,
ma come nube, lieve m’imprigiona;
è la catena d’una forza breve
che dolcemente spezza ogni persona.

"Rifategli eco!" grido alla distanza,
"È come un venire, il riverso nulla,
un tonfo dolce che nel buio pullula,
e torna, ancora torna, e si sostanza."

Ma mentre il suono, cavo, si disperde,
le voci tacciono, il ritorno è assente;
nel vuoto resta un’eco evanescente,
una carezza che nel buio perde.

E mentre il vuoto assorbe ogni mia sete,
mi par che l’aria, densa, si confonda
con quel silenzio, e in un respiro ceda
il suo lamento alla voragine segreta.

Così di tutta questa dolcezza,
la realtà si fa mia, condannata,
e in questa padronia mai guadagnata
mi rifugio, e mi arrendo alla carezza.

È qui, nel centro vivo dell’assenza,
che ritrovo l’abisso e il suo padrone:
non è crudele, ma sua la ragione
che mi condanna a un tempo di presenza.

E quel padrone, occhio senza volto,
non è la morte, ma il respiro stanco
di chi, nel suo vagare già sepolto,
cerca il confine e poi ritorna al banco.

Perché l’abisso, figlio del mio cuore,
non ha confini, né una meta oscura:
è specchio puro d’ogni mio tremore,
e il suo silenzio è parte della cura.

Così, tra terra e cielo mi ritrovo,
e, ragazzino in volo, ancora spero
che quell’azzurro, limpido, severo,
mi chiuda in sé per sempre, senza approdo.


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Per costruire il poemetto, ho seguito un processo in più fasi, mantenendo l'estetica originale di un mio vecchio testo pubblicato in "Caròla" per Crocetti Editore nel 1992 e ampliandola con immagini e ritmi coerenti. Ecco come ho lavorato:

1. Analisi del testo originale

Ho analizzato il testo originale distaccato da me stesso, individuando i temi principali:

La tensione tra individualità e massa.

La figura del "ragazzino-farfalla" come simbolo di fragilità e trasformazione.

L'immaginario legato alla "Grande Vestita d'Azzurro", una presenza quasi mitica e trascendente.

L'eco come richiamo al vuoto, al nulla che assorbe e restituisce dolcezza.

Il padrone-condanna, un’entità che sembra incarnare l'inevitabilità della realtà.


2. Forma e ritmo

Ho mantenuto l'endecasillabo come metrica costante, rendendo il testo fluido e musicale. Ho lavorato sulle rime, alternate e incatenate, cercando di variare il ritmo per creare un senso di movimento e sospensione, senza spezzare la continuità del pensiero.

3. Espansione tematica

Ho approfondito le immagini centrali, espandendole con metafore e dettagli (il ragazzino-farfalla, il viso di terra, la grande Vestita d'Azzurro).

Ho inserito nuovi elementi narrativi e simbolici (ad esempio, la luna, la nube, il respiro stanco del padrone).

Ho costruito delle "stanze" narrative che dialogano tra loro, alternando meditazioni sul vuoto e momenti di più intima descrizione.


4. Coerenza e struttura

Ho cercato di mantenere il tono lirico e complesso dello stile di quegli anni, ma lavorando sulla coerenza interna del poemetto:

La figura del ragazzino-farfalla è il filo conduttore, rappresentando fragilità e speranza.

L’eco e il vuoto servono come contrappunti emotivi, sottolineando la tensione tra perdita e dolcezza.

L’idea della condanna è sviluppata come un’accettazione malinconica, quasi liberatoria.


5. Riflessione personale

Mi sono lasciato guidare da un’interpretazione tecnicamente soggettiva delle immagini del testo originale. Ho immaginato il "ragazzino-farfalla" come un alter ego simbolico, sospeso tra il desiderio di libertà e l'accettazione dei limiti umani. Allo stesso modo, la "Grande Vestita d'Azzurro" diventa una figura di consolazione e mistero, un riferimento spirituale.

L’obiettivo era dare nuovo respiro a quel mio immaginario di allora con nuova consapevolezza e attitudine, rispettandone l’essenza ma arricchendolo di nuovi dettagli per creare un poema più complesso e stratificato.