sabato 14 dicembre 2024

Ero in errore (monologo)

Ero in errore, e l’errore era talmente radicato in me che non riuscivo nemmeno a riconoscerlo per quello che era, tanto che la sua presenza era diventata una parte fondamentale della mia visione del mondo. Lo vedevo come una certezza incrollabile, una verità immutabile che, come una roccia solida, non avrebbe mai vacillato, che non si sarebbe mai mossa né deteriorata. Credevo, o forse mi illudevo, che quella cosa che avevo trovato fosse qualcosa che non sarebbe mai cambiato, che sarebbe rimasta lì, al mio fianco, costante, immutabile, una presenza fissa e sicura. In quel momento, non potevo concepire che potesse esserci qualcos'altro, che le cose potessero essere diverse, che quella percezione fosse solo un miraggio, un inganno che la mia mente aveva creato per darmi la sensazione di tranquillità. Quell’illusione era così comoda, così rassicurante, che preferivo rimanere in essa, non affrontare la realtà che si nascondeva dietro. Quella convinzione che avevo, di avere qualcosa di stabile accanto a me, mi dava una sensazione di pace, un conforto che mi permetteva di affrontare la quotidianità. Ma adesso, quando guardo indietro, vedo quanto quella sensazione fosse fragile, quanto quella convinzione fosse costruita su una base di cecità, un’illusione che mi ero creato per sfuggire alla paura del cambiamento e dell’incertezza. Non era mai stato stabile, né fisso, né tanto meno eterno. Non era una certezza solida, come pensavo, ma solo un lampo nel buio, una scintilla che nasce e si spegne in un batter d’occhio, senza preavviso, senza segni di avvertimento. Era una presenza fugace, effimera, che, per la sua natura stessa, non poteva durare più di un istante. E io, purtroppo, avrei dovuto capirlo subito, avrei dovuto vedere i segnali, ma invece ho scelto deliberatamente di non vedere. Mi sono chiuso in quella bolla di sicurezza che mi ero creato, e ho ignorato i segnali che mi stavano dicendo che nulla è per sempre, che tutto è destinato a cambiare.

Non era forse evidente fin dall'inizio che qualcosa sarebbe cambiato? Non c’erano già segni sottili, quasi impercettibili, che mi indicavano che quello che vedevo non sarebbe rimasto invariato? Ogni minuto che passava, ogni ora che trascorreva, tutto, intorno a me, cambiava, seppur in modo impercettibile, eppure io insistevo nel mantenere quella visione distorta di stabilità, di immobilità. Non era chiaro che quella cosa non sarebbe mai potuta rimanere uguale, che sarebbe inevitabilmente cambiata, che non sarebbe stata la stessa a un giorno, a un mese, a un anno di distanza? Non era già evidente che, fin dal momento della sua nascita, avrebbe attraversato fasi, evoluzioni, cambiamenti? Non era una cosa quando è venuto al mondo, un’altra quando ha compiuto quattro anni, e un’altra ancora quando ne aveva sette, e non si era già completamente rinnovato, come un albero che cambia le foglie ad ogni stagione, quando ha compiuto nove anni? Ogni volta che lo guardavo, lo vedevo già diverso, eppure non lo notavo, o, se lo notavo, facevo finta di nulla, perché non volevo affrontare la realtà che stavo cercando di ignorare. La verità era che non volevo accettare il cambiamento, che non volevo rendermi conto che tutto intorno a me era in continua evoluzione. Non era mai fermo, mai statico: era come un fiume che scorre, che si muove e non ritorna mai indietro. Un fiume che non può mai essere attraversato due volte nello stesso modo, perché ogni goccia di acqua è diversa, ogni istante è irripetibile, e non importa quanto tu possa cercare di ripetere la stessa esperienza, l’acqua di ieri non sarà mai quella di oggi. E ogni volta che lo guardavo, mi accorgevo che era già cambiato, che non era più lo stesso di prima, che qualcosa era mutato, eppure io non riuscivo a vederlo per quello che era. Perché? Perché avevo paura? Perché, in fondo, non volevo ammettere che il cambiamento fosse la vera costante della nostra esistenza?

Ogni sorriso, ogni gesto, ogni parola che scaturiva da lui era un frammento di un qualcosa che si stava costantemente evolvendo, un pezzo di un puzzle che non sarebbe mai stato completato, che non avrebbe mai raggiunto una fine definitiva. Ogni piccola azione, ogni movimento, ogni suono aveva in sé una traccia di cambiamento, una traccia di una trasformazione che stava avvenendo a ogni respiro, ma io, in qualche modo, cercavo di ignorarlo, cercavo di vederlo come qualcosa che fosse destinato a rimanere uguale, stabile. Continuavo a vedere una colonna che sorreggeva il mondo, una roccia che avrebbe resistito al passare del tempo, quando in realtà non era niente di tutto ciò. Era un’onda che si infrangeva sulla riva, un soffio di vento che spariva appena lo cercavi di fermare, un miraggio che scompariva appena cercavi di afferrarlo. Era una realtà che veniva dal nulla, dall’oscurità primordiale, da quell’ignoto da cui tutto proviene e in cui tutto, inevitabilmente, ritorna. Si era fatto carne, corpo, forma, calore, una presenza tangibile che potevo toccare, abbracciare, amare, proteggere con tutta la forza che avevo. E io l’ho amato con ogni fibra del mio essere, con ogni battito del mio cuore, con ogni pensiero che attraversava la mia mente. Ma, nonostante tutta la passione che avevo, era già scritto, fin dal momento in cui era venuto al mondo, che sarebbe tornato al nulla. Era il destino di tutto ciò che esiste: nasce, cresce, e infine ritorna da dove è venuto, perché nulla può sfuggire a questa legge universale, a questa verità ineluttabile.

Forse, in fondo, lo sapevo. Forse l’ho sempre saputo, ma non volevo accettarlo. Non volevo credere che quel momento, quel momento doloroso della perdita, sarebbe arrivato. Non pensavo che sarebbe arrivato così presto. Mi ha colto di sorpresa, mi ha strappato via la terra da sotto i piedi, come se il mondo stesso fosse crollato attorno a me. Non ero pronto, non ero preparato a quella realtà, e mi rendo conto che, forse, non lo sarò mai. Non pensavo che il nulla, che la fine delle cose, avrebbe reclamato ciò che avevo amato con tanta intensità con tale urgenza, con tale violenza. Non pensavo che sarebbe stato proprio lui, lui che pensavo fosse la mia costante, a precederci, ad attraversare quella soglia prima di noi. E ora, quello che è rimasto di lui è un vuoto, un'assenza che riempie tutto, che si fa sentire in ogni angolo della mia esistenza. Quel vuoto è come un’eco che rimbomba nel silenzio, un silenzio che ora è assordante, che non posso ignorare. È il silenzio della perdita, il silenzio di ciò che non c’è più, ma che continua a pesare su di me, sulla mia vita.

L’ho scambiato per qualcosa di eterno, per qualcosa che sarebbe restato con me per sempre. E questo è stato il mio errore, forse il più grande errore che avessi potuto fare. Non c’è nulla di eterno. Niente che sia destinato a durare per sempre. Non lo sono io, non lo sono le cose che costruisco, non lo è il mondo che mi circonda. Io non sono stabile, non lo è il mio corpo, che cambia giorno dopo giorno, che invecchia, che si trasforma. Non lo sono i miei pensieri, che si evolvono, che mutano a ogni istante, a ogni respiro. Non lo sono le cose che vedo intorno a me: anche le strutture più solide, le costruzioni più imponenti, non sono eterne. Le pietre si consumano, le strutture si sgretolano, i muri si incrinano, l’architettura stessa si deteriora. Persino questa città, che sembra così solida, così stabile, non è eterna. Ogni giorno, ogni minuto, qualcosa cambia. Una crepa si allarga, una luce si spegne, una vita finisce. Ogni cosa è destinata a cambiare, ogni cosa si trasforma, senza tregua, senza sosta. Nulla è al sicuro, nulla è immutabile.

E questo cambiamento incessante, che non lascia mai tregua, che non si ferma mai, è sia la bellezza che la tragedia della vita. È ciò che ci ricorda che il tempo scorre, che ogni istante è unico, che ogni momento che viviamo è prezioso. Ma è anche ciò che ci strazia, che ci spezza il cuore, che ci costringe a fare i conti con la realtà della perdita, del cambiamento, dell’inevitabilità della fine. E io, ora, devo imparare ad accettarlo. Devo imparare a vivere in un mondo dove nulla è stabile, dove nulla dura per sempre, dove ogni cosa è destinata a scomparire, a dissolversi nel nulla. Forse, in questo, c’è una lezione, una verità che possiamo imparare. O forse no. Forse non c’è altro che la vita stessa, che continua a scorrere, a fluire, come un fiume che non si ferma mai, che non si può fermare, che non si lascia fermare.