domenica 15 dicembre 2024

quale notte, immensa e abissale...


Quale notte, immensa e abissale, avvolge il nostro sguardo stanco e lo dissolve in un buio così denso da sembrare, persino, tangibile! È una notte che non conosce alba, un grembo oscuro che ci accoglie senza tregua, soffocando ogni luce, ogni speranza, ogni eco di vita. Il mondo, un tempo pulsante e colmo di voci, è ora ridotto a un vuoto sconfinato, dove il silenzio non è assenza di suono, ma un’entità vivente, un manto nero che ricopre ogni cosa con il suo gelo eterno. In questo regno del nulla - dove ogni cosa, un tempo viva e palpitante, appare ora intorpidita, come congelata da una mano invisibile e implacabile - persino il tempo si è arreso, sgretolandosi in un eterno presente privo di confini, privo di scopo.

Le domande, quegli araldi della nostra irrequieta umanità, giacciono spente, ridotte a ombre di ciò che erano, come foglie appassite che il vento ha abbandonato su un terreno arido e sterile. Quelle stesse domande, che un tempo bruciavano nel cuore e sollecitavano risposte, ora sono poco più che frammenti di un’antica inquietudine, dispersi in un mare di indifferenza. Le risposte, poi, pallide vestigia di un sapere che osavamo credere eterno, sono quasi scomparse: evanescenti spiragli di un pensiero che si dissolve come fumo nell’aria fredda, incapaci di resistere all’avanzare di un’oscurità che tutto ingloba, che tutto divora.

Camminiamo in questo labirinto senza uscita, imprigionati da un silenzio che non consola, ma pesa sul petto come una pietra sepolcrale. È il silenzio dell’universo, un muto osservatore che ci scruta da lontano con indifferenza, lasciandoci soli, piccoli e smarriti, a cercare invano un appiglio, un segno, una traccia che possa dare senso a questa discesa nel nulla.

Ogni certezza è divenuta fragile, come una tela sottilissima che il tempo e l’oblio hanno sfilacciato. I ricordi stessi, che un tempo brillavano come fari nel buio, si dissolvono, lasciandoci soli con una nostalgia che graffia l’anima, una malinconia che ci svuota, riducendoci a gusci vuoti di ciò che eravamo. Eppure, nel fondo di questo abisso, in un angolo remoto e quasi dimenticato del nostro essere, una scintilla resiste. È il desiderio – fragile, impercettibile, ma vivo – che oltre questo vuoto possa esistere ancora qualcosa, una luce, un senso, un futuro.

È un desiderio che non si arrende, che si aggrappa con disperazione all’idea di una redenzione, di un ritorno, di una rinascita. E così, pur barcollando, pur sopraffatti dall’oscurità, continuiamo a cercare. Cercare nonostante tutto, nonostante l’apparente inutilità di ogni passo. Perché cercare è tutto ciò che ci rimane, tutto ciò che ci rende ancora umani, vivi, in questo regno di tenebra senza fine.

La riflessione, quel fragile baluardo della coscienza, stenta ormai a resistere, si frantuma contro il vuoto che avanza, come un'onda che si frange sulla riva senza mai più ritirarsi. Essa, che un tempo era la nostra fortezza inespugnabile, appare ora incapace di raccogliere e ordinare questo mondo frammentato e lacerato, come un mosaico rotto in mille pezzi, ognuno dei quali sfugge alla nostra comprensione. La mente, che un tempo cercava di ricomporre, di dare forma e sostanza alla realtà, si trova impotente di fronte a un caos che non concede appigli, che annienta ogni tentativo di ricostruzione. Ogni giorno, il nostro sguardo si scontra con l’impossibilità di mettere ordine in ciò che si sfalda davanti a noi. Le certezze su cui poggiavamo i nostri passi vacillano, si sgretolano, mentre le parole che una volta avevano peso e valore sembrano vuote e prive di significato.

Eppure, essa tenta vanamente di dare un senso a ciò che senso più non ha, come se potesse riscrivere le leggi di un universo che ormai si sgretola tra le sue dita. Ogni tentativo di comprensione si trasforma in un fallimento, ogni riflessione appare solo un eco lontano di ciò che una volta era un pensiero solido. Come una barca che cerca di navigare su un mare agitato, ci muoviamo in un oceano di incertezze, cercando di orientare il timone verso un punto di riferimento che non esiste più. La mente, che una volta aveva il potere di illuminare il cammino, ora si perde nell'oscurità crescente, incapace di vedere oltre il proprio naso, impotente di fronte all'abisso che si apre davanti.

Le domande che sorgono non trovano risposta, e quelle stesse risposte che ci venivano in mente un tempo ora ci appaiono come fossero immagini lontane, come riflessi sfocati di una realtà che non riusciamo più a toccare. È come se la capacità di riflettere, di pensare in modo coerente, fosse stata erosa dall’indifferenza del mondo che ci circonda. Siamo spettatori impotenti di un teatro in cui la trama si sgretola e i personaggi, un tempo ben definiti, diventano ombre indistinte. La riflessione stessa, che un tempo ci guidava come una luce, ora diventa una prigione che ci costringe a vagare in un labirinto senza uscita, dove ogni angolo ci conduce a un altro vicolo cieco.

Come un viandante smarrito in una terra senza nome, brancoliamo in cerca di segni e significati, ma ogni passo sembra condurci più lontano da ciò che cercavamo, più vicino a un abisso che si fa largo in ogni nostro pensiero. Ogni nostro movimento, ogni tentativo di muoverci con decisione, ci sembra inutile, come se il nostro corpo non potesse più adattarsi a un terreno che cambia incessantemente sotto i nostri piedi. La terra su cui camminiamo sembra sfuggirci, come sabbia tra le dita, mentre il paesaggio che ci circonda si trasforma continuamente, confondendo i confini tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Le direzioni che prendiamo, un tempo chiare, ora sono tutte uguali, come se il mondo intero fosse ridotto a un ciclo infinito di scelte senza esito.

Ogni gesto che compiamo, ogni parola che pronunciamo, sembra non avere peso, come se avessimo perso il contatto con quella realtà che un tempo era solida e tangibile. Ogni nostra azione è come un segno lasciato nel vuoto, che si dissolve rapidamente, inghiottito dalla vastità di un mondo che non riusciamo più a comprendere. Le strade che percorriamo sono sempre le stesse, ma sembrano condurci in luoghi sconosciuti, in orizzonti che si fanno sempre più sfumati. Ogni passo che facciamo è come camminare nel buio, dove i nostri occhi non riescono a distinguere i contorni, eppure, pur nella totale oscurità, continuiamo a muoverci, mossi da una speranza che sembra sempre più lontana.

Eppure, malgrado tutto, continuiamo a cercare. Nonostante il vuoto che avanza, la nebbia che ci avvolge, non cessiamo di cercare una risposta, un appiglio, una verità che sembri dare un senso a tutto ciò che ci circonda. Ma ogni volta che pensiamo di aver trovato una risposta, ci rendiamo conto che essa ci sfugge ancora, come un’ombra che scivola via quando cerchiamo di afferrarla. Ogni volta che ci avviciniamo a ciò che sembra una spiegazione, ci accorgiamo che essa è solo una nuova domanda, una nuova incertezza che si aggiunge a quelle che già pesano sulle nostre spalle. È come se ogni verità che scoprissimo dovesse inevitabilmente portarci a nuove questioni, come una spirale che non si esaurisce mai, dove ogni soluzione apre la porta a un nuovo enigma.

Un senso che si dissolve, che si sfuma, che si perde nella nebbia che cresce, si fa più fitta, più tetra, a ogni passo, come un dramma che non conosce fine, ma solo un eterno ripetersi di domande senza risposta. Ogni nostra riflessione sembra solo allungare l'ombra di un dubbio che si fa sempre più grande, come una nuvola che oscura il cielo sopra di noi. Eppure, non possiamo fare a meno di cercare, come se il semplice atto di cercare potesse darci un po' di sollievo, un po' di speranza, anche se sappiamo che ogni risposta sembra solo condurci più lontano dalla verità. Così, continuiamo a camminare, passo dopo passo, senza mai fermarci, senza mai accettare che forse, in questo mondo frammentato e lacerato, non esiste più una risposta definitiva, ma solo un’infinità di interrogativi che si sovrappongono, senza soluzione apparente. Siamo come naufraghi in un mare che non smette mai di agitarsi, con la speranza di un approdo che, forse, non esiste più.

E c’è "qualcosa" – oh, che parola! Quanto è vuota, quanto è spaventosa nella sua indefinitezza! – qualcosa che non riesco nemmeno a nominare, tanto è il timore che incute. È una presenza oscura, evanescente, che non ha forma, ma che ci opprime con la sua potenza incommensurabile, un’entità invisibile che non si può percepire con gli occhi, ma che aleggia nell'aria, pesante come un presagio. Essa non è altro che un'ombra che avanza, eppure la sua minaccia è reale, è palpabile, è una realtà che ci travolge come un torrente impetuoso che esonda da un letto che non c'è più. Un’entità così antica, così profondamente radicata nell’inconscio collettivo, da sembrare un mostro che giace incatenato da tempo immemorabile, nascosto nelle pieghe più oscure della nostra psiche. Ma ora, in una sinistra esplosione di energia primitiva, si è liberato da quelle catene invisibili che lo imprigionavano. Non c’è più alcuna forza che lo trattenga, non c’è più nessuna forza che ne limiti la portata. Quando questo "qualcosa" si scaglia nel nostro spazio, lo fa con una violenza incontrollabile, con un’energia travolgente che non ha risparmiato nessuna forma di resistenza, neppure quelle che pensavamo più solide, più durevoli. Straborda dai suoi confini, si espande in direzioni imprevedibili, dilaga come un fiume in piena che divora tutto ciò che incontra, che sfida la nostra capacità di comprendere, di contenere.

Inonda con furia cieca e senza alcuna pietà i margini del nostro orizzonte, come un’onda che non conosce ostacoli, come una tempesta che abbatte ogni cosa sul suo cammino, senza preavviso, senza un segno che possa anticiparla. Non ha volto, non ha contorni, non ha forma, ma la sua presenza è più forte di qualsiasi altra realtà tangibile. È un urlo muto che scuote la terra, è una vibrazione nell'aria che ci colpisce in profondità, che ci fa sentire fragili, vulnerabili, impotenti. Non c’è luogo dove possiamo nasconderci, nessuna barriera che possa fermarlo, nessuna speranza che possa darci rifugio. Cresce, si espande, si gonfia come una tempesta in arrivo, come una marea che invade ogni angolo del nostro essere, che travolge e annienta. E la sua furia non conosce confini, non ha limiti. È un'energia che non può essere arrestata, una forza inarrestabile che devasta tutto ciò che tocca.

Politicamente innominabile, perché qualsiasi tentativo di darle un nome ridurrebbe la sua natura a una mera etichetta, a una condizione che potrebbe essere controllata, circoscritta, domata. Ma questa è una belva, una bestia di fango e ombra, una creatura che avanza senza pietà, che annienta ogni traccia di ordine, di serenità, di pace. Non c'è più nulla che possa sfuggire alla sua furia. È un fiume nero e impetuoso, un torrente che straripa da una dimensione invisibile e distrugge tutto ciò che incontra. Non lascia nulla dietro di sé, solo desolazione, solo il ricordo di ciò che era prima. Le nostre certezze, una volta salde e inossidabili come roccia, sono ora solo canne fragili al vento, in balia di una forza che non possiamo più fermare. Ciò che pensavamo immutabile, ciò che pensavamo inalterato, si sgretola come polvere, come sabbia che sfugge tra le dita, ridotto in pezzi, annientato senza pietà.

Eppure, anche mentre tutto questo accade, noi non possiamo fare nulla. Il caos dilaga, il vortice ci risucchia, ci sferza, ci travolge senza che possiamo nemmeno sperare di tenere il passo. Le nostre coordinate si disintegrano, i nostri punti di riferimento scompaiono come fossero mai esistiti. Il terreno sotto di noi cede, si spacca, ci getta nel nulla. Non c’è più nessuna terra ferma, solo un abisso che si apre sotto i nostri piedi. Ogni punto di riferimento che abbiamo cercato di costruire con fatica e speranza viene smantellato, dissolto, distrutto. Ogni certezza che avevamo viene fatta a pezzi, come vetro frantumato che non potrà più essere rimesso insieme. E noi, poveri mortali, ci ritroviamo a galleggiare in questo mare di confusione, in questo vortice di caos, senza direzione, senza salvezza. Il nostro sgomento è totale. Non c’è più modo di fermare questa forza che ormai ha preso il controllo di ogni angolo della nostra esistenza, che ha spazzato via ogni barlume di pace, ogni spiraglio di speranza. L’unica cosa che possiamo fare è cercare di resistere, di sopravvivere, di non farci trascinare del tutto nel buio che ormai ci avvolge.

E sebbene sembri ancora, con un tenue barlume di speranza, possibile leggere, decifrare almeno un brandello di questo enorme e incomprensibile rebus che è il mondo, la realtà si fa sempre più opaca, quasi inaccessibile. Ogni angolo che cerchiamo di esplorare, ogni indizio che pensiamo di aver trovato, si dissolve come nebbia all’alba, eppure ci illudiamo, per un attimo fugace, di poter scorgere una strada, un percorso che ci permetta di darci una direzione, una risposta, un significato. Ci sforziamo di comprendere le leggi che governano questo universo caotico, di trovare un legame tra ciò che vediamo e ciò che sentiamo, ma il più delle volte, la realtà ci sfugge, si muove davanti a noi come una tela che si sfalda tra le dita, sfidando ogni nostro tentativo di comprenderla. Eppure, in qualche angolo nascosto della nostra coscienza, persiste la sensazione che, nonostante tutto, possiamo ancora afferrare qualche brandello di verità. Ma la verità è sfuggente, come un sogno che, al risveglio, lascia solo un’impronta vaga, una sensazione di disorientamento che ci fa dubitare anche di noi stessi.

E per quanto ci illudiamo di poter dare un nome a ciò che ci circonda, di poter attribuire un significato a ciò che ci succede, ogni nostro tentativo sembra destinato a infrangersi contro muri invisibili, barriere costruite da mani invisibili, come se ogni nostro sforzo di interpretare fosse destinato al fallimento. Ogni parola che proviamo a pronunciare sembra ridursi in polvere appena uscita dalle nostre labbra, come se il linguaggio stesso non fosse più capace di contenere la vastità dell’esperienza umana, come se la realtà fosse troppo grande, troppo complessa, per essere racchiusa in concetti o definizioni. La nostra mente, pur così agile nel cercare soluzioni, si ritrova intrappolata in una rete che lei stessa ha tessuto, incapace di liberarsi da un meccanismo che non comprendiamo appieno, ma che, al contempo, ci domina. Ogni volta che crediamo di aver trovato una chiave per aprire la porta della comprensione, la porta si chiude inesorabilmente, lasciandoci soli con le nostre domande senza risposta.

E allora, forse, la cosa più sensata è lasciare perdere, abbandonare il peso di un compito troppo grande per noi, uno sforzo che sembra solo consumarci senza regalarci nulla in cambio. Dobbiamo accettare l’idea che non saremo noi a risolvere l’enigma, a trovare la soluzione, a dare un nome a questo caos. Lasciamo forse a chi verrà dopo di noi, a quelli che in un lontano futuro, ci osserveranno dall’alto di epoche ormai incomprensibili, il compito di raccogliere i frammenti di ciò che siamo stati, di osservare le tracce lasciate dalle nostre vite e cercare di decifrare ciò che per noi è stato incomprensibile. Saranno forse gli storici – quelle pallide ombre che, nel futuro, passeranno in rassegna le nostre rovine e i nostri fallimenti – a dare una forma a questa tragedia, a mettere ordine in ciò che per noi era solo un abisso di paura e confusione. Loro, che guarderanno al passato con occhi disincantati, sapranno forse chiamare questa tragedia con un nome, a dare un volto a ciò che per noi era solo una minaccia vaga e indefinita, riconoscendo in ciò che abbiamo vissuto la sostanza di un disastro che, nel nostro presente, non riuscivamo neppure ad affrontare. Quello che per noi era solo il buio che inghiottiva ogni certezza, il silenzio che nascondeva ogni spiegazione, diventerà per loro la lezione di una storia che dovevamo ancora imparare, ma che ormai non possiamo più evitare. Saranno loro a restituire un senso a ciò che per noi sembrava solo un vuoto senza fine, a scrivere la cronaca di una discesa che pensavamo irreversibile.

Eppure, nonostante ogni cosa sembri ormai sfuggirci di mano, il passato, con la sua insistenza silenziosa e il suo ritorno inquietante, non ci lascia in pace. Il passato ritorna, ritorna come un demone insaziabile, un’ombra che ci insegue senza tregua, un fantasma che mai cessa di reclamarci. È come se, nel suo ritorno, avessimo la consapevolezza di qualcosa che non possiamo più evitare: il passato, con tutte le sue cicatrici e i suoi tormenti, si impadronisce, silenziosamente e inesorabilmente, di ogni aspetto del nostro presente. Non possiamo liberarcene, non possiamo fuggire da essa, perché la sua ombra si estende ormai su ogni nostro passo, su ogni nostra azione, come se il tempo si fosse sovrapposto a se stesso, come se il nostro presente fosse destinato a essere una riflessione costante di ciò che è stato. Ogni nostro gesto, ogni nostra riflessione, ogni nostra decisione è in qualche modo segnato dal peso di un passato che non riusciamo a gettar via, come se fosse una ferita che non smette di sanguinare. Il passato non è più qualcosa che ci appartiene, è qualcosa che ci possiede, una parte integrante di noi che ci definisce e, al contempo, ci limita.

E così, ogni nostro movimento, ogni nostro respiro, ogni nostro sogno è intriso di quella polvere antica che proviamo a ignorare, ma che non possiamo mai cancellare. Il passato non è solo un ricordo, non è solo un’eco lontana; è una presenza viva, che continua a mutare e a rivelarsi in nuove forme, che si infiltra in ogni piega del nostro presente, che plasma le nostre scelte, i nostri desideri, le nostre paure. Non siamo più in grado di liberarci da questa catena invisibile che ci lega a ciò che è stato, perché essa è diventata parte di noi. Non possiamo più scappare. Il passato, ormai, è il nostro unico compagno di viaggio.