"Abbandonato dall’angelo" di Piero Bigongiari, pubblicato nel 1992 da Armando Dadò Editore, è una raccolta poetica che si inserisce nel solco tardo della produzione dell’autore, segnando uno dei momenti più intensi e terminali della sua lunga attività letteraria. Poeta dell’ermetismo fiorentino, critico raffinato, intellettuale appartato e visionario, Bigongiari in questa raccolta affronta in modo estremo e consapevole i temi della trascendenza negata, della solitudine dell’anima, e dell’assenza del divino come ferita insanabile.
Il titolo, Abbandonato dall’angelo, è già una dichiarazione di poetica e di destino: l’angelo, figura spesso presente nella poesia bigongiariana come messaggero tra visibile e invisibile, qui si fa simbolo dell’assenza stessa del senso, o meglio, dell’allontanamento del sacro dalla parola e dalla vita. Non si tratta di un semplice nichilismo, ma di un’estenuata tensione mistica in negativo. Il poeta è lasciato solo nel mondo, eppure continua a interrogare l’eco del sacro perduto.
Il linguaggio della raccolta è sublimato, difficile, densissimo, con immagini che si accartocciano su se stesse, rifrazioni simboliche, sintassi sghemba, in linea con la poetica della “seconda ermeticità” bigongiariana: un ermetismo che non cerca più l’essenzialità, ma la saturazione barocca del significato, nella disperata speranza che da quel caos emerga ancora una forma.
Ci sono versi in cui la perdita dell’angelo coincide con la perdita del corpo, con una coscienza della morte sempre più precisa, ma non pacificata. È poesia del tramonto, ma anche del combattimento tra il visibile e l’invisibile, tra la parola e il silenzio. In tal senso, può essere accostata ai tardi Celan, oppure – nel contesto italiano – ai testi più cupi e metafisici di Mario Luzi.
Il libro fu pubblicato da Armando Dadò, editore ticinese molto attento alla poesia italiana di qualità, e rappresenta una delle ultime uscite in vita di Bigongiari, scomparso nel 1997. È un’opera difficile da reperire oggi, ma fondamentale per comprendere l’evoluzione di un poeta che ha attraversato quasi tutto il Novecento senza mai rinunciare alla sfida della parola poetica come forma alta del pensiero e del dolore.