Oscar Iannurato, portavoce del Pride, commenta senza mezzi termini: “Siamo profondamente rammaricati e basiti. La decisione del Comune e soprattutto le parole scelte ci colpiscono nel vivo. È una negazione del nostro valore sociale, culturale, politico e umano”.
E in effetti, quello che accade oggi ad Arcore non è solo un episodio isolato, ma lo specchio di un’Italia che, a dispetto di ciò che si ama chiamare “civiltà occidentale”, mostra sempre più chiaramente i segni di una regressione culturale.
Il patrocinio negato: un atto più simbolico che amministrativo
Il patrocinio comunale, lo sappiamo, non comporta quasi mai fondi. Si tratta di un riconoscimento formale, simbolico, una forma di sostegno pubblico che segnala una vicinanza dell’istituzione all’iniziativa. È un modo per dire: voi fate parte della nostra comunità. Negarlo, soprattutto nel caso di un evento come il Pride, ha tutt’altra risonanza.
Non è una decisione neutra. È un atto politico. Ed è bene dirlo con chiarezza: la politica, in quanto gestione del vivere comune, non è qualcosa da cui ci si può sottrarre. Scegliere di non stare dalla parte di chi rivendica diritti è, a tutti gli effetti, prendere posizione contro.
Il lessico del paradosso: “non inclusivo”
Fa riflettere – e inquieta – il fatto che per negare il patrocinio si sia utilizzata proprio la parola inclusivo. È la stessa parola che da anni le soggettività LGBTQIA+ reclamano con forza, affinché le scuole, i luoghi di lavoro, gli spazi pubblici, i servizi sanitari e le famiglie riconoscano e accolgano anche chi non si riconosce nel binarismo di genere o nell’eteronormatività.
Definire il Pride “non inclusivo” è una torsione linguistica che merita un’analisi. È un’espressione che lascia intendere che l’inclusione si realizzi solo nel silenzio, nella scomparsa delle differenze, nell’accettazione di un modello unico di cittadino, famiglia, amore. Ma questa non è inclusione: è conformismo.
Inclusione significa riconoscere le differenze, dar loro spazio, voce e tutela. Significa comprendere che la parità non è data dall’omogeneità, ma dalla convivenza.
Che cos’è “divisivo” per davvero?
Se il Pride divide, lo fa nella misura in cui costringe a prendere posizione. Non è una sfilata neutra, non è un evento da cartolina. È una festa, sì, ma anche un momento di memoria e lotta. Ricorda chi siamo stati e cosa ci è stato negato, e continua a mostrare cosa ancora manca.
È divisivo perché mette in luce le crepe della nostra società: le famiglie non riconosciute, i diritti negati, le discriminazioni quotidiane, i silenzi delle istituzioni, l’odio nei media, la violenza nelle scuole. Ma in realtà non è il Pride a creare queste fratture: è solo lo specchio che le riflette. E lo specchio, si sa, non piace a chi vuole ignorare la realtà.
Arcore, la villa, il simbolo
Che questa decisione arrivi da Arcore, sede della famosa Villa San Martino, storica residenza di Silvio Berlusconi, è tutt’altro che neutro. In quella villa si è costruito e legittimato un immaginario machista, sessista e profondamente omofobo, che ha segnato la cultura italiana degli ultimi trent’anni.
Non è certo Arcore, come luogo simbolico, a poterci dare lezioni di inclusività. La cultura che da lì è emersa ha alimentato per decenni la ridicolizzazione dei corpi dissidenti, la negazione delle identità trans, la mercificazione del femminile, l’infantilizzazione del desiderio queer.
Che oggi proprio quel Comune dica al Pride “non siete inclusivi”, suona come una beffa, o meglio: una sentenza d’involontario auto-ritratto.
Brianza Pride: una storia di costruzione lenta e coraggiosa
Il Brianza Pride nasce nel 2019 come scommessa territoriale. Non a Milano, dove la comunità LGBTQIA+ ha già radici forti, ma in un’area storicamente più chiusa, cattolica, improntata a un’idea “tradizionale” della famiglia. Portare il Pride in Brianza è stato, fin da subito, un atto di coraggio.
Non solo parate. Il Brianza Pride è formazione nelle scuole, presenza nei quartieri, eventi culturali, sportelli di ascolto, percorsi con i giovani. È una rete che tiene insieme studenti, genitori, educatori, associazioni, attivisti e cittadinə comuni. È un gesto collettivo che produce cambiamento.
Negargli il patrocinio è come negare la realtà dei fatti: il Pride, qui, esiste. E continuerà a esistere.
Oscar Iannurato: “Non ci fermeremo”
Le parole del portavoce sono chiare: “Ci sentiamo offesi, ma non intimiditi. Il Pride non è divisivo: è uno spazio di liberazione. Se lo si nega, si nega anche la dignità di chi ne fa parte. Ma noi ci saremo comunque, più numerosi e colorati di prima. Il Brianza Pride si farà, con o senza il Comune”.
E ancora: “Chiediamo ai cittadini e alle cittadine di Arcore di interrogarsi su cosa significhi davvero inclusione. Di guardare ai propri figli, ai propri amici, ai colleghi: molti di loro fanno parte della nostra comunità. Non è possibile continuare a ignorare questo. E non è accettabile usare parole come ‘divisivo’ per zittire chi lotta per vivere liberamente”.
Una questione nazionale
Non è la prima volta che accade. In varie parti d’Italia, negli ultimi anni, sono stati negati patrocini a eventi LGBTQIA+. A volte per ragioni esplicitamente politiche, altre volte per timore di “polemiche”, oppure per pressioni da gruppi cattolici o conservatori. Ma ogni volta, il gesto si inserisce in un contesto più ampio: quello di una democrazia che fa sempre più fatica ad accettare la pluralità.
Nel frattempo, continuano le aggressioni omotransfobiche, i suicidi tra giovani queer, l’assenza di una legge contro l’odio, la non esistenza giuridica per le persone trans non binarie, le adozioni vietate alle famiglie arcobaleno. Questo sì, è “divisivo”. Ma non lo si affronta negando patrocini: lo si affronta prendendosi la responsabilità di cambiare.
La risposta: esserci, comunque
Il Pride – e questo va ribadito – non è un favore che si chiede alle istituzioni. È un diritto. Anzi, è l’esercizio collettivo di un diritto: quello alla visibilità, alla dignità, alla cittadinanza piena. E se un Comune decide di non esserci, sarà la cittadinanza a riempire lo spazio lasciato vuoto.
Il Brianza Pride 2025 si farà, e sarà più affollato che mai. Sarà una risposta non solo ad Arcore, ma a tutti quei luoghi – reali o simbolici – in cui si cerca ancora di confinare le identità queer nel silenzio, nella clandestinità o nella derisione.
Perché finché ci sarà anche solo una persona che viene esclusa, il Pride non sarà mai superfluo.
E se chi governa lo trova divisivo, forse è perché è troppo abituato a vivere in un mondo pensato per un solo tipo di persona. Ma il mondo è già cambiato. E i Pride, anche in Brianza, lo stanno raccontando ogni giorno.