La donazione comprende, al suo interno, undici opere originali di Cy Twombly (1928-2011), uno degli artisti più enigmatici e influenti della seconda metà del Novecento. L’importanza di Twombly nella storia dell’arte recente è ormai riconosciuta da tempo, e la sua figura, a lungo considerata marginale rispetto alle principali narrazioni dell’espressionismo astratto e dell’arte concettuale, è stata oggetto negli ultimi due decenni di un progressivo processo di rivalutazione critica. Il suo linguaggio pittorico, intriso di echi letterari, evocazioni mitologiche e tensioni grafiche, ha saputo elaborare un’estetica dell’ellisse, della discontinuità, dell’intermittenza del segno, che si oppone frontalmente tanto alla compiutezza dell’immagine quanto all’ideologia del gesto eroico. La scelta della Cy Twombly Foundation di donare un nucleo così significativo di opere a un museo italiano – e, in particolare, alla Galleria Nazionale di Roma – non è priva di valenze simboliche e culturali profonde: si tratta, infatti, di un ritorno, di una restituzione affettiva e storica a una città che ha segnato in modo decisivo l’itinerario biografico ed estetico dell’artista.
La presenza prolungata di Twombly a Roma, fin dagli anni Cinquanta, ha prodotto nel suo lavoro un’irruzione della classicità non come repertorio formale o retorico, ma come frammento vivente, come esperienza di sedimentazione temporale e di erosione semantica. Le rovine, le iscrizioni, le epigrafi e i codici grafici antichi vengono nel suo lavoro reinseriti all’interno di una scrittura automatica e gestuale che evoca più Artaud che Winckelmann, più la materia poetica di Mallarmé che l’ideale apollineo del neoclassicismo. Questo aspetto, finemente analizzato da autori come Roland Barthes, Harald Szeemann e Nicola Del Roscio, contribuisce a spiegare la pertinenza di una collocazione italiana delle sue opere, ma anche il loro potenziale critico nei confronti della modernità occidentale.
A rendere ancora più significativa e stratificata l’intera operazione, si aggiunge la presenza, tra le opere donate, di un pastello su carta di Pablo Picasso datato 1906 e intitolato "Nu debout". Si tratta di una testimonianza rara del cosiddetto periodo rosa, momento fondamentale nella transizione del giovane Picasso dal periodo blu al cubismo. Questo momento creativo, spesso trascurato nella semplificazione didascalica della carriera dell’artista, rappresenta in realtà una fase di altissima intensità poetica, in cui l’indagine sulla figura umana si carica di un lirismo dolente, di una corporeità silenziosa e meditativa. Il nudo femminile in piedi qui raffigurato, realizzato con un uso delicatissimo del pastello e della sfumatura tonale, rivela la centralità del disegno nel pensiero visivo picassiano. La sua presenza in questa donazione offre l’occasione per un confronto trasversale con la poetica di Twombly: entrambi, seppur in modi radicalmente diversi, hanno concepito la linea come strumento di evocazione, come gesto d’invocazione più che di rappresentazione.
L’accostamento tra i due artisti, pur non essendo dichiaratamente tematico, può dare origine a una costellazione di riflessioni che riguardano il ruolo del segno, della memoria, della figura e della scrittura nel corso del XX secolo. Mentre Picasso riassume nel suo percorso le crisi e le reinvenzioni dell’immagine pittorica novecentesca, Twombly ne esplora i margini, ne decostruisce le convenzioni, ne assume le faglie come spazio di operatività poetica. In questo senso, la donazione si configura anche come una microraccolta capace di porre interrogativi sulle genealogie dell’arte moderna e sul rapporto tra arte europea e sensibilità nordamericana, tra eredità e trasformazione.
Oltre alla dimensione squisitamente artistica e curatoriale, l’intervento della Cy Twombly Foundation ha previsto uno stanziamento di 3 milioni di dollari destinati alla riqualificazione del laboratorio di restauro della Galleria Nazionale. Tale investimento, rarissimo per entità e per destinazione funzionale, pone l’accento sull’importanza del restauro non soltanto come pratica tecnica, ma come sapere interdisciplinare che coniuga scienza, filosofia della conservazione, estetica e metodologia storica. In tempi in cui i budget pubblici destinati al restauro si riducono progressivamente, e in cui le istituzioni faticano a garantire continuità operativa a strutture essenziali come queste, una tale iniezione di fondi consente non solo di rinnovare le infrastrutture e le strumentazioni, ma di ripensare il laboratorio stesso come spazio di formazione e ricerca. In questo senso, la Galleria potrebbe divenire un polo d’eccellenza a livello europeo nel campo del restauro del contemporaneo, favorendo scambi internazionali, residenze, progetti pilota.
In parallelo, l’istituzione di un master dedicato all’opera e alla figura di Twombly, sostenuto anch’esso dalla donazione, rappresenta un ulteriore tassello strategico. Concepito come un percorso post-laurea aperto a storici dell’arte, curatori, restauratori e artisti, il master con borse di studio dedicate intende favorire una riflessione complessa e articolata sull’opera twomblyana, ma anche più in generale su questioni centrali per l’estetica contemporanea: il rapporto tra parola e immagine, tra tempo e superficie, tra spazio espositivo e costruzione narrativa. Le borse di studio intitolate all’artista assumono qui una funzione biopolitica, nel senso più ampio del termine: esse intervengono sulla possibilità stessa dell’accesso alla formazione avanzata, incidono sulla mobilità degli sguardi critici, sulla creazione di nuove generazioni di intellettuali dell’arte.
Per comprendere a fondo la portata di questo gesto, occorre situarlo all’interno delle più recenti trasformazioni che stanno attraversando i musei europei. Le istituzioni pubbliche non sono più, o non sono solo, depositarie di collezioni; esse sono divenute spazi performativi, dispositivi di produzione simbolica, agenti culturali che operano nella sfera pubblica e politica. In tale contesto, la donazione Twombly assume il carattere di un atto paradigmatico, che indica una direzione possibile per un nuovo modello di collaborazione tra soggetti privati e istituzioni pubbliche. Non si tratta di una mera liberalità, bensì di un gesto fondativo che implica responsabilità condivise, progettualità a lungo termine, e una visione del museo come centro propulsivo di sapere.
La direzione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, affidata dal 2015 a Cristiana Collu, si è distinta per la capacità di reinventare profondamente l’identità dell’istituzione, trasformandola in uno spazio di riflessione estetica e critica. Attraverso operazioni curatoriale coraggiose, una nuova politica espositiva, e una revisione del display museale, la Galleria ha saputo liberarsi dalle retoriche tradizionali del modernismo per accogliere una pluralità di voci, di linguaggi, di temporalità. In questo clima di apertura, la donazione Twombly si inserisce come atto coerente e potenzialmente trasformativo. Non si tratta solo di “possedere” nuove opere, ma di metterle al lavoro, di consentire loro di attivare nuove forme di lettura e nuovi immaginari condivisi.
In conclusione, la donazione della Cy Twombly Foundation non può essere banalizzata come una semplice acquisizione museale di alto valore. Essa va intesa piuttosto come un esempio virtuoso di come l’arte possa agire come dispositivo di trasformazione collettiva, come strumento per articolare una memoria non fossilizzata, ma attiva e critica. L’eredità di Twombly – il suo gesto aperto, il suo segno errante, la sua calligrafia dell’invisibile – si incarna oggi non solo nei lavori donati, ma nel progetto culturale che essi inaugurano: un progetto che riguarda l’Europa e il Mediterraneo, la formazione e il pensiero, la storia e la possibilità del futuro.