sabato 12 luglio 2025

La conservazione come pratica critica: il nuovo laboratorio di restauro della Collezione Peggy Guggenheim a Venezia

L’inaugurazione del nuovo laboratorio di restauro presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia rappresenta un momento significativo nel dibattito contemporaneo sulla conservazione dell’arte del Novecento e oltre. Situato all’interno del prestigioso museo veneziano, lo spazio si configura non soltanto come centro tecnico-scientifico per il restauro delle opere della collezione, ma come luogo epistemico in cui convergono conoscenza, pedagogia e trasparenza museale. In un’epoca in cui la nozione stessa di conservazione viene ripensata alla luce delle istanze materiali, concettuali e performative dell’arte contemporanea, l’iniziativa del Guggenheim veneziano assume una portata esemplare.

Il laboratorio, concepito in dialogo con una rete internazionale di studiosi, restauratori e istituzioni accademiche, è dotato di tecnologie all’avanguardia per la diagnostica e l’intervento conservativo, quali la riflettografia IR, l’imaging multispettrale, l’analisi XRF, l’indagine stratigrafica con microprelievi e l’uso di microscopia ottica e digitale. Tuttavia, ciò che distingue profondamente questa struttura da altri centri di restauro è la sua articolazione come ambiente aperto al pubblico: un corridoio vetrato consente ai visitatori di assistere, in tempo reale, ai processi di analisi e intervento sulle opere. Tale scelta museografica non è meramente spettacolare, ma risponde a un’esigenza formativa e deontologica: rendere trasparente il lavoro della conservazione, sottoporlo a una dimensione collettiva di osservazione e comprensione critica.

Attualmente, il laboratorio ospita tre cantieri esemplari: un dipinto di Jackson Pollock, una composizione di Robert Delaunay e una tela di Piet Mondrian. Ciascuno di questi casi studio offre spunti significativi per una riflessione sulle specificità della conservazione dell’arte moderna e contemporanea. L’opera di Pollock, realizzata con vernici industriali e tecniche informali di dripping, si presenta come particolarmente vulnerabile a processi di degrado fisico e chimico. La sua conservazione richiede un approccio orientato non solo alla salvaguardia della materia, ma alla comprensione stratigrafica e gestuale del fare artistico: ogni segno pittorico è il risultato di una dinamica fisica irripetibile, e l’intervento conservativo deve saper distinguere tra ciò che è deterioramento e ciò che è intrinseca aleatorietà del gesto.

Nel caso dell’opera di Delaunay, il problema principale concerne l’alterazione cromatica di alcuni pigmenti originari, oggi offuscati da processi ossidativi e da precedenti interventi di restauro poco documentati. L’intervento attuale mira a restituire leggibilità alla composizione, evitando operazioni invasive o reintegrazioni arbitrarie, secondo i principi della reversibilità e della riconoscibilità dell’intervento, in linea con le teorie codificate dall’Istituto Centrale per il Restauro. La tela di Mondrian, infine, testimonia l’estrema delicatezza degli equilibri geometrici e cromatici dell’arte neoplastica: anche minime variazioni nella consistenza materica delle superfici o nella brillantezza dei colori possono alterare radicalmente la percezione dell’opera. In questo caso, il restauro deve procedere con estrema cautela, valorizzando la patina del tempo senza compromettere l’intenzionalità formale dell’artista.

La configurazione del laboratorio come luogo di osservazione pubblica ha inoltre implicazioni rilevanti sul piano educativo. L’istituzione veneziana prevede infatti l’attivazione di programmi formativi per studenti, restauratori in formazione e operatori museali, nonché una serie di seminari, lecture e tavole rotonde dedicate ai temi della conservazione dell’arte contemporanea. In tal modo, il Guggenheim si propone non solo come custode di un patrimonio, ma come promotore di una riflessione avanzata sulle problematiche metodologiche, etiche e filosofiche del restauro.

In un contesto come quello dell’arte del Novecento, in cui la nozione stessa di “opera” si è progressivamente smaterializzata, estendendosi ai territori dell’installazione, della performance, dell’oggetto effimero o concettuale, la pratica del restauro assume una valenza nuova: essa non si limita a intervenire sulla materia, ma si confronta con i fondamenti ontologici dell’opera, con la sua temporalità, con il rapporto tra intenzionalità autoriale e ricezione storica. Ogni intervento diviene, in tal senso, un atto critico.

Questo è particolarmente evidente nelle domande che il laboratorio si propone di affrontare anche sul piano teorico: cosa significa restaurare un’opera che prevede la sua deperibilità? È legittimo sostituire materiali originari con equivalenti contemporanei? Come si conserva una performance documentata? Quale spazio resta alla creatività del restauratore di fronte a opere che sfidano le nozioni tradizionali di permanenza e stabilità?

Il laboratorio Guggenheim si presenta dunque come uno spazio ibrido: officina tecnica e insieme luogo di elaborazione teorica; ambiente operativo e dispositivo museologico; infrastruttura scientifica e strumento di democratizzazione della conoscenza. A fronte di un sistema museale spesso orientato alla valorizzazione dell’esperienza visiva immediata e spettacolare, questo progetto restituisce centralità al lavoro invisibile che consente la sopravvivenza dell’opera nel tempo, e lo fa mettendolo sotto gli occhi di tutti, rendendo evidente la fragilità, la mutevolezza, ma anche la resistenza dell’arte.

Nel solco della tradizione aperta da Peggy Guggenheim — collezionista visionaria e promotrice di un’idea di museo come spazio vitale di confronto — il nuovo laboratorio conferma la volontà della fondazione veneziana di porsi come attore attivo nel dibattito museologico contemporaneo. In un’epoca in cui la conservazione non può più essere intesa come mera tutela passiva, ma come prassi riflessiva, interdisciplinare e dialogica, il laboratorio del Guggenheim di Venezia costituisce un modello operativo e concettuale destinato a influenzare profondamente le pratiche future.