"Sotto il Quinto sole. Antologia di poeti chicani", pubblicata da Passigli nel 1990 e curata da Franca Bacchiega, è una delle prime e rare raccolte apparse in Italia a dare voce alla poesia chicana, ovvero alla scrittura poetica nata negli Stati Uniti dall’esperienza dei discendenti della diaspora messicana. Il titolo stesso — evocativo e mitico — affonda le radici nella cosmologia azteca, secondo la quale l’umanità si è susseguita attraverso cinque ere solari. Il quinto sole, quello sotto cui viviamo, è precario, destinato a crollare, ma anche portatore di rivelazione e rinascita. È questo il punto di partenza simbolico dell’antologia: la poesia come resistenza e sopravvivenza in un mondo che cambia, implode, si riscrive.
La forza del progetto curato da Bacchiega risiede non solo nella scelta dei testi, ma nella visione culturale e politica che lo sottende. L’antologia non è una semplice raccolta letteraria: è un atto di ascolto e di restituzione di un’intera costellazione poetica che per lungo tempo è rimasta ai margini della visibilità internazionale, e ancor più della scena italiana. Nel suo saggio introduttivo, la curatrice non si limita a collocare i poeti nel contesto storico e geografico, ma disegna le coordinate di una coscienza poetica collettiva, che ha saputo trasformare il trauma della marginalità in una forma di canto resistente.
La poesia chicana — e questa raccolta lo dimostra pienamente — nasce dal corpo e dalla strada, dalla lingua bifronte, dal lavoro sottopagato, dalle cicatrici del confine, dalla religiosità popolare contaminata da simboli precolombiani, dalla violenza sistemica e dalla tenerezza familiare. È una poesia che non chiede permesso, che vive nella contraddizione, che si fa carico della frattura tra appartenenze culturali dissonanti. La lingua stessa in cui si esprime, spesso mescolando inglese e spagnolo, è segno vivo di una identità meticcia e mai del tutto pacificata.
Tradurre questi testi in italiano, come fa Bacchiega, è un’operazione complessa e coraggiosa. La curatrice riesce nell’intento senza addomesticare la materia poetica: conserva la forza, la ruvidità, il ritmo interno, pur adattando le immagini e le sfumature a un lettore italiano. Il risultato è una lingua poetica che mantiene il battito originario, anche quando scivola su registri in apparenza lontani. La traduzione diventa così un ponte, non una semplificazione, e apre una possibilità di ascolto per chi, da questa parte dell’oceano, non aveva mai avuto accesso diretto a queste voci.
Ciò che colpisce, leggendo le poesie contenute in "Sotto il Quinto sole", è la varietà dei registri e delle esperienze, ma anche la loro unità profonda. Ogni testo sembra scaturire da una condizione di lacerazione e di attraversamento: tra lingue, tra generi, tra paesi, tra secoli. Ma non si tratta di una letteratura della lamentazione. È piuttosto un grido di presenza, una dichiarazione d’esistenza: la parola poetica non viene usata per abbellire, ma per affermare, per reclamare spazio, per proteggere la memoria, per rifiutare l’assimilazione forzata. E lo fa con strumenti aspri e delicati al tempo stesso, con la forza dell’invettiva e la grazia della preghiera.
L’antologia si muove su un terreno spesso dimenticato dalla grande editoria: quello delle letterature minoritarie, non nel senso di piccole, ma di sistematicamente escluse dal canone dominante. E proprio per questo diventa preziosa. In un’Italia che all’epoca era ancora poco permeabile alle narrazioni postcoloniali o diasporiche, questo volume agisce come una finestra spalancata su un paesaggio bruciante e vivo, in cui la poesia non è decorazione, ma pratica di resistenza quotidiana.
Oggi, a più di trent’anni dalla sua pubblicazione, "Sotto il Quinto sole" resta un libro quasi dimenticato, difficile da reperire, ma tutt’altro che superato. Le domande che attraversano le sue pagine — chi siamo quando viviamo in due lingue? chi ci riconosce? dove finisce il corpo e dove comincia il territorio? — sono domande radicalmente attuali. E la voce che da quelle pagine si alza — corale, spezzata, visionaria — non ha perso nulla della sua urgenza.
Sarebbe tempo di rileggerla, di ripubblicarla, di riprenderne il filo. Perché sotto il quinto sole, oggi più che mai, si continua a scrivere poesia come si respira: per non morire, per non sparire, per raccontarsi da dentro.