domenica 27 luglio 2025

La Biennale Danza 2025 chiude con l’oscurità visionaria di Marcos Morau e La Veronal: "La Mort i la Primavera"

Venezia, Teatro Malibran – 1 e 2 agosto 2025. La chiusura di un festival è spesso un momento di festa, una conclusione dal sapore celebrativo. Ma la Biennale Danza 2025 sceglie di sorprendere, o meglio di provocare: la sua ultima parola è affidata a "La Mort i la Primavera", creazione firmata dal coreografo Marcos Morau e dalla sua compagnia La Veronal, realtà tra le più innovative della scena europea. Un’opera che non offre risposte, ma pone domande brucianti sul rapporto tra morte e rinascita, tra distruzione e libertà creativa.


Un titolo che racconta già un conflitto

"La Mort i la Primavera" prende il nome dal romanzo postumo di Mercè Rodoreda, autrice catalana di culto che negli anni della dittatura franchista ha raccontato la condizione umana attraverso un linguaggio allusivo e visionario. In quella storia, la morte è una presenza costante, ma non assoluta: accanto ad essa, la primavera, simbolo della vita che resiste e ritorna. Morau parte da questa ambivalenza e la porta nel corpo dei suoi interpreti, costruendo una coreografia che è allegoria di un mondo sospeso: un luogo dove l’energia vitale e la violenza distruttiva convivono nello stesso respiro.

“Non ci interessava illustrare un testo – spiega Morau in un incontro con la stampa – ma farne una materia poetica, un’immagine da attraversare. È come se il romanzo fosse un sogno da cui svegliarsi, e noi provassimo a farlo diventare movimento”.


Marcos Morau: il linguaggio di un visionario

Nato a Valencia nel 1982, Morau è una figura centrale della danza contemporanea europea. Con un percorso che ha unito studi di fotografia, teatro e danza, ha fondato nel 2005 La Veronal, compagnia che ha fatto dell’ibridazione il proprio marchio: geografie immaginarie, atmosfere sospese tra realtà e finzione, corpi trattati come sculture in movimento. I suoi spettacoli non raccontano storie nel senso tradizionale, ma costruiscono mondi: Siena affrontava il rapporto tra arte e corpo, Voronia entrava in una “cattedrale sotterranea” del male contemporaneo, Pasionaria interrogava la società dei consumi.

"La Mort i la Primavera" si colloca in questa linea di ricerca, ma aggiunge una dimensione emotiva e politica più esplicita: “Viviamo in un ciclo di creazione e distruzione continua – dice Morau – e l’arte può essere un modo per attraversare questa tensione, non per scioglierla, ma per abitarla”.


La Veronal: un collettivo di ricerca

La Veronal non è semplicemente una compagnia di danza, ma un laboratorio permanente di linguaggi. Oltre ai danzatori, comprende costumisti, compositori, drammaturghi e video artisti. Ogni progetto è un’opera totale, dove il movimento convive con il suono, la scenografia e la luce in una partitura unitaria.
Per "La Mort i la Primavera", la scena del Teatro Malibran viene trasformata in un luogo quasi post-apocalittico: un paesaggio fatto di materiali grezzi, luci radenti e suoni metallici, che rimandano a una civiltà in rovina o a un villaggio in attesa di un evento irreversibile. I corpi dei danzatori non si limitano a “occupare” questo spazio, ma lo abitano come se fosse un organismo vivente, in mutazione costante.


L’opera come allegoria politica

Nonostante la sua natura fortemente estetica, "La Mort i la Primavera" è anche un’opera politica. In un’epoca segnata da conflitti, crisi ambientali e tensioni sociali, l’opera si interroga su cosa significhi “resistere”: resistere alla paura, all’omologazione, alla rassegnazione.
Il movimento dei danzatori si articola tra momenti di blocco, quasi statue paralizzate, e improvvise accelerazioni, come esplosioni di vita che scattano nonostante tutto. È un linguaggio che non consola, ma trascina lo spettatore in un viaggio emotivo, lasciandolo con la sensazione di aver assistito a un rituale più che a uno spettacolo.


Il pubblico come testimone attivo

Nei lavori di Morau, il pubblico non è mai un osservatore neutrale. "La Mort i la Primavera" chiede agli spettatori di accettare l’ambiguità, di diventare testimoni di un’esperienza più che di una trama. “Mi interessa che le persone escano dalla sala con più domande che risposte – afferma il coreografo – perché questo significa che qualcosa è successo dentro di loro”.
Per il pubblico della Biennale, abituato a linguaggi innovativi, sarà una sfida di percezione: l’opera non punta sull’intrattenimento, ma sulla costruzione di un immaginario che continua a risuonare anche dopo il sipario.


Biennale Danza: un laboratorio del presente

Sotto la direzione di Wayne McGregor, la Biennale Danza si è imposta come uno dei festival più coraggiosi d’Europa, aperto a contaminazioni e ricerche di frontiera. In questa edizione 2025, l’accento è stato posto sul rapporto tra corpo, tecnologia e impegno sociale. In questo contesto, "La Mort i la Primavera" rappresenta un manifesto perfetto di chiusura: un lavoro che sintetizza l’idea di danza come atto politico, come pratica che non si limita a rappresentare il mondo, ma lo mette in crisi.


La scelta del Teatro Malibran

La scelta di presentare l’opera al Teatro Malibran non è casuale: questo luogo storico veneziano, che ha visto secoli di spettacoli d’opera, diventa qui uno spazio di collisione tra passato e futuro. “Portare una creazione così contemporanea in un teatro carico di memoria – osserva Morau – è un modo per dire che anche i luoghi hanno bisogno di rinascere, di essere attraversati da nuovi immaginari”.


Aspettative e reazioni attese

L’attesa per queste due repliche è alta: il nome di Morau richiama un pubblico internazionale, e molti osservatori della scena contemporanea considerano questa produzione uno degli eventi chiave dell’anno. Alcuni critici hanno già definito l’opera “un atto di resistenza poetica”, sottolineando come la scelta di chiudere un festival con uno spettacolo così oscuro e al tempo stesso vitale sia un gesto di forte coerenza curatoriale.


Conclusione: un finale non rassicurante

"La Mort i la Primavera" non è una chiusura “consolatoria” per la Biennale Danza 2025, ma un finale aperto, quasi una provocazione: lascia il pubblico con la consapevolezza che l’arte, oggi, non può limitarsi a decorare la realtà, ma deve entrare nel conflitto, nelle crepe del nostro tempo.
Marcos Morau e La Veronal firmano un lavoro che, nelle parole dello stesso coreografo, “non vuole spiegare, ma far sentire”. E questo, alla fine, è il senso più autentico della danza come linguaggio: mettere in movimento non solo i corpi, ma anche il pensiero.