1. Provenienza e contesto originario
L’opera giunse all’Opificio delle Pietre Dure nel 1938 come “deposito” dai Musei Vaticani, priva di attribuzione certa e considerata, fino a tempi recenti, un frammento di scarso rilievo. Solamente un attento esame tecnico-scientifico e l’iniziativa di una nuova campagna di studio hanno permesso di individuarne la vera origine e il contesto culturale: essa risalirebbe alla prima metà del XIV secolo, e sarebbe parte di un più ampio apparato decorativo commissionato da papa Bonifacio VIII per il Giubileo del 1300. In tale occasione, la Cappella delle Reliquie (detta anche Sancta Sanctorum) presso la vecchia Basilica di San Pietro venne impreziosita da un ciclo pittorico monumentale. Giotto, artista già affermato e noto a Roma per la sua attività presso San Giovanni in Laterano, sarebbe stato coinvolto nei lavori decorativi di quel sacro ambiente, oggi quasi del tutto perduto.
2. Attribuzione e confronti stilistici
L’ipotesi di un’attribuzione a Giotto fu avanzata per la prima volta da Federico Zeri nel 1985, in un testo rimasto inedito, ma soltanto recentemente essa ha trovato conferme significative grazie al lavoro di Cecilia Frosinini, già direttrice del Settore restauro dipinti dell’Opificio. Gli elementi stilistici della figura dipinta – lo sguardo penetrante, il volume plastico del volto, la resa chiaroscurale delle vesti – presentano analogie evidenti con le opere certe di Giotto, in particolare con i personaggi della Cappella Peruzzi e con le figure dei cicli romani. L’analisi tecnica ha confermato l’uso di una preparazione a base di gesso e colla animale, tipica della bottega giottesca, e pigmenti compatibili con quelli riscontrati in altri dipinti del maestro.
Va inoltre segnalato che il frammento presenta un taglio netto e una conservazione parziale, probabilmente dovuti a un’asportazione forzata o a un crollo del supporto originario. La mancanza di cornice e la forma irregolare hanno reso difficile per lungo tempo il suo inquadramento tipologico.
3. La committenza papale e la dispersione del ciclo pittorico
Il Giubileo del 1300, voluto da Bonifacio VIII, rappresenta un momento cruciale nella storia della Chiesa e nell’affermazione del papato come centro universale di potere spirituale. La decorazione della Cappella delle Reliquie, destinata a contenere i più preziosi tesori della cristianità, tra cui il sudario di Cristo e la Veronica, doveva riflettere questa centralità. Il coinvolgimento di Giotto – verosimilmente documentato anche da fonti indirette – si inserisce in questo disegno politico e teologico.
Tuttavia, le trasformazioni urbanistiche e architettoniche avvenute nei secoli successivi, in particolare con la demolizione della vecchia Basilica e la costruzione della nuova San Pietro, hanno provocato la distruzione o la dispersione di gran parte delle decorazioni originarie. Il frammento oggi conservato a Firenze costituirebbe, pertanto, l’unico superstite materiale di quel ciclo, un relitto prezioso che restituisce, seppur in minima parte, la visione originaria di una Roma giottesca.
4. Il ruolo dell’Opificio delle Pietre Dure
L’intervento di restauro condotto dall’Opificio ha avuto un ruolo fondamentale nel recupero dell’opera. Oltre alla pulitura e al consolidamento della pellicola pittorica, si è proceduto a una nuova campagna di indagini non invasive (fotografie multispettrali, riflettografia IR e analisi XRF) che hanno permesso di stabilire con maggiore sicurezza l’attribuzione. L’ente fiorentino ha reso pubblici i risultati nell’ambito delle celebrazioni per i 50 anni dell’istituzione del proprio Laboratorio dipinti su tavola e tela, confermando la vocazione dell’Opificio non solo alla tutela materiale, ma anche alla valorizzazione critica del patrimonio storico-artistico italiano.
5. Considerazioni conclusive
Il frammento restituito alla luce, pur nella sua frammentarietà, offre uno squarcio sul linguaggio figurativo di Giotto in ambito romano e sul rapporto tra arte e potere nella curia papale di inizio Trecento. La sua riscoperta sollecita nuove indagini e interrogativi, aprendo la possibilità che altri lacerti di quel ciclo perduto possano emergere dagli archivi o dalle collezioni, magari in forma altrettanto anonima.
In definitiva, il caso di questo piccolo dipinto su tavola esemplifica l’importanza del lavoro interdisciplinare tra storici dell’arte, restauratori e istituzioni museali, mostrando come anche una “reliquia” artistica marginale possa diventare chiave interpretativa di una stagione culturale fondativa dell’arte italiana.