Il protagonista, interpretato da un magnetico William Hurt al suo debutto cinematografico, è Eddie Jessup, uno scienziato visionario che conduce esperimenti su sé stesso con potenti sostanze psicotrope e sessioni di deprivazione sensoriale in una camera isolata. Convinto che la coscienza umana conservi in sé tracce profonde delle sue origini pre-umane, Jessup tenta di regredire fino allo stadio primordiale dell’essere. E ci riesce. Ma l’esperienza non si limita alla mente: il corpo stesso comincia a mutare, a piegarsi alle leggi di una biologia che precede la cultura, la morale, persino la forma umana.
IL CORPO COME CAMPO DI BATTAGLIA
In questo film il corpo non è più un semplice veicolo della mente, ma diventa esso stesso il campo di battaglia dove si combatte la guerra tra l’ordine e il caos, tra il linguaggio e l’istinto, tra il pensiero e la carne. Jessup non è solo uno scienziato che cerca la verità: è un martire, un esploratore dell’abisso, pronto a distruggere se stesso pur di trovare l’origine dell’uomo. Le sue trasformazioni fisiche, raccontate con effetti speciali ancora oggi di impressionante forza visiva, rappresentano una regressione nell’osceno biologico, nel sacro ancestrale, in quella zona oscura dove il mito, il rito e la genetica si fondono in un’unica visione.
Russell, maestro della messa in scena e dell’esagerazione, filma questi passaggi con uno stile estremo, immaginifico, onirico. Le sequenze allucinatorie sono esplosioni visive: crocifissi che si liquefano, occhi cosmici, caproni dorati, simboli fallici e uterini, un bestiario da sogno sciamanico. Il riferimento è tanto l’iconografia religiosa quanto il surrealismo, la psicoanalisi, il cinema sperimentale. Ma tutto è attraversato da una tensione tragica: la ricerca dell’assoluto comporta inevitabilmente la perdita del sé.
LA SCISSIONE AUTORIALE: CHAYEFSKY CONTRO RUSSELL
Ciò che rende Stati di allucinazione davvero unico, però, è anche la sua storia produttiva: un vero e proprio duello tra due autori. Paddy Chayefsky, vincitore di tre Oscar per la sceneggiatura, aveva concepito un romanzo e una sceneggiatura molto verbosi, filosofici, in cui la regressione del protagonista era trattata come una parabola scientifica e spirituale. Per lui, la trasformazione era una metafora del ritorno all’origine, un modo per interrogare il confine tra scienza e fede.
Russell, invece, esaspera tutto: rende fisico, carnale, pulsante ciò che Chayefsky aveva lasciato nell’ambito del pensiero. L’autorità dello scienziato diventa delirio, la verità scientifica si decompone in visioni allucinatorie, e la coscienza diventa una prigione da cui fuggire. Lo scontro fu tale che Chayefsky pretese che il suo nome venisse rimosso dai titoli di coda, e venne sostituito con lo pseudonimo Sidney Aaron.
Il film che ne risulta è dunque una creatura anfibia: intellettuale e viscerale, teorica e sensoriale, raffinata e animalesca. Una specie di chimera cinematografica dove due autori combattono apertamente per la supremazia del linguaggio: parola contro immagine, logos contro carne.
FILOSOFIA, RELIGIONE, SCIMMIOTTI
Sotto la superficie spettacolare, Stati di allucinazione affronta temi filosofici cruciali. Che cos’è la coscienza? Dove finisce l’umano e inizia il pre-umano? È possibile tornare indietro nell’evoluzione? Ma soprattutto: ha senso cercare una verità assoluta in un universo che sembra fondato sull’entropia? Jessup non è un eroe, ma un asceta della carne, un mistico dell’ADN. Le sue esperienze psicotrope, derivate da riti tribali messicani, si fondono con la tecnologia, la scienza e la tradizione occidentale: ne emerge una spiritualità sincretica, folle, in cui l’allucinazione non è evasione, ma conoscenza.
In questo senso, il film anticipa molte delle ossessioni culturali contemporanee: il bio-hacking, la deprivazione sensoriale, il potere della mente sul corpo, l’uso rituale di sostanze psichedeliche, il ritorno del sacro in forme mutanti. Non è un caso che Stati di allucinazione sia stato riscoperto dalla generazione post-psichedelica, da chi studia i rapporti tra neuroscienze, filosofia della mente e religione.
L’IMPACT POSTUMO: UN FILM SEMPRE IN MUTAZIONE
Alla sua uscita nel 1980, Altered States fu accolto con una certa perplessità dalla critica. Alcuni lo considerarono troppo sopra le righe, altri lo accusarono di superficialità. Ma col tempo il film è stato rivalutato: oggi viene considerato un oggetto di culto, studiato in ambito accademico, citato da registi come Darren Aronofsky (The Fountain, Requiem for a Dream) e Alex Garland (Annihilation), che ne hanno ereditato il linguaggio visionario e la tensione metafisica.
Inoltre, il film ha avuto un ruolo pionieristico nel rappresentare la trasformazione del corpo come espressione di conflitto interiore, anticipando il body horror di David Cronenberg, ma anche il cinema post-umano di Jonathan Glazer e Yorgos Lanthimos. Non è solo l’orrore della carne che muta, ma la bellezza terrificante di un'identità che si disgrega per toccare il divino.
CONCLUSIONI: UNA DROGA LENTA, UN SOGNO RICORRENTE
Guardare Stati di allucinazione oggi significa affrontare un cinema che non cerca di spiegare, ma di evocare. Un cinema che è esperienza più che racconto, rito più che intrattenimento. Russell costringe lo spettatore a vivere l’allucinazione, non a osservarla da fuori. La pellicola diventa così una droga lenta, che agisce sul cervello anche dopo la visione, come un sogno ricorrente, disturbante e seducente.
Nel suo eccesso, Altered States conserva una sincerità rara: la volontà di andare fino in fondo, senza concessioni. Un film impossibile da imitare, radicale nella forma e nel contenuto, che riesce a coniugare l’ossessione per l’origine con la paura della perdita. Perché, alla fine, il viaggio nella mente di Eddie Jessup è un viaggio nella mente di tutti noi: alla ricerca di qualcosa che abbiamo dimenticato, ma che ancora ci brucia dentro.