sabato 26 luglio 2025

La vitalità della forma, la persistenza del mito: Arturo Martini alle Gallerie d’Italia di Vicenza


1. Introduzione

La mostra Vitalità del Tempo. Arturo Martini nelle collezioni d’arte di Intesa Sanpaolo, aperta al pubblico presso le Gallerie d’Italia di Vicenza fino al 16 novembre 2025, costituisce un’occasione di rilievo nel panorama espositivo italiano. Non si tratta unicamente di un omaggio a una delle personalità più emblematiche della scultura del XX secolo, ma di un progetto curatoriale che si distingue per la densità critica, la coerenza metodologica e l’accurata valorizzazione di un nucleo importante di opere, appartenenti alla collezione d’arte di Intesa Sanpaolo.

Attraverso un impianto espositivo raffinato, la mostra propone una lettura articolata dell’opera di Arturo Martini (Treviso, 1889 – Milano, 1947), ponendo l’accento su quella che si potrebbe definire una resistenza della scultura alle torsioni della modernità. Martini vi appare non tanto come un epigono dell’arcaismo o un nostalgico dell’organicità perduta, quanto piuttosto come un interprete profondamente consapevole della crisi della forma plastica e del suo disfacimento semantico all’interno dell’orizzonte culturale del Novecento.


2. La materia e il tempo: una costellazione simbolica

Il titolo della mostra – Vitalità del Tempo – suggerisce immediatamente una declinazione temporale della prassi plastica. La nozione di tempo, tuttavia, non è da intendersi nel suo significato lineare, cronologico, bensì nella sua accezione più stratificata e mitopoietica: un tempo che abita la materia, che la agita dall’interno, che la rende corpo di memoria e di futuro.

L'opera di Martini, in tal senso, si colloca al crocevia tra due polarità: da un lato la tensione verso l’archetipo, verso un’origine mitica e sedimentata nei linguaggi della civiltà mediterranea; dall’altro, la percezione ineluttabile della discontinuità storica, della frammentazione del senso, della disgregazione dell’ordine classico. La scultura, per Martini, non è mai uno strumento di affermazione identitaria o celebrativa, ma si configura come un campo di forze in cui convivono, in equilibrio instabile, forma e disfazione, classicismo e residuo, monumentalità e rovina.

Ne risultano corpi scolpiti che sembrano trattenere, nella loro epidermide materica, il tempo stesso del loro farsi e disfarsi. Emblematico è, in tal senso, l’uso differenziato della materia: dalla terracotta cruda al bronzo, dal gesso alla pietra tenera, ogni materiale porta in sé una specifica temporalità, una diversa qualità del gesto scultoreo.


3. Un modernismo laterale: l’antico come invenzione

Uno degli elementi di maggiore interesse emersi dal percorso espositivo è l’insistita rielaborazione del repertorio iconografico antico. Ma l’antico, in Martini, non è mai mera citazione né volontà di imitazione archeologica. È piuttosto ciò che resta, in forma di relitto o frammento, dopo la catastrofe della contemporaneità. L’arcaismo martiniano si manifesta allora come atto poetico di reinvenzione, come costruzione di una mitologia personale capace di confrontarsi con l’informe.

Nel dialogo con il Primitivismo novecentesco — e con autori a lui coevi come Lehmbruck, Maillol, Laurens — Martini rivendica un proprio percorso autonomo, nutrito di una tradizione plastica che ha i suoi riferimenti non solo nella scultura classica, ma anche nell’arte medievale, nel romanico padano, nel gotico transalpino, nella statuaria votiva. È in questa matrice eclettica che si radica la cifra stilistica di Martini, in cui la figurazione si carica di una tensione simbolica che eccede ogni naturalismo.

Tra le opere esposte, risalta in particolare Donna che nuota sott’acqua (1921), lavoro seminale in cui il movimento impossibile dell’acqua si trasforma in scultura, e l’atto del nuotare — che è passaggio, immersione, scomparsa — diventa figura mitica. La corporeità, in Martini, si fa sempre narrazione: ma una narrazione interrotta, balbettante, prelogica, che sfugge alla linearità del racconto per aprirsi all’enigma.


4. Intimità e monumentalità: un binomio dialettico

Altro nodo critico che la mostra affronta con efficacia è quello della scala. L’opera di Martini attraversa costantemente il confine tra intimità e monumentalità, tra misura domestica e ambizione pubblica. Tuttavia, anche nei lavori destinati a contesti celebrativi o civici, la monumentalità è disattivata dall’interno: non vi è mai in Martini un compiacimento retorico o una volontà di enunciazione assertiva. La forma, anche quando si erge imponente, conserva sempre un fondo di esitazione, di pudore, di malinconia.

In Vittoria del Piave (1926), per esempio, la figura femminile eroica non è stilizzata secondo i canoni accademici del monumento celebrativo, ma possiede una fisicità radicata, tellurica, quasi ancestrale. È una vittoria muta, che non proclama ma trattiene, che si offre come presenza enigmatica più che come allegoria.

E ancora, in Maternità (1929), la monumentalità si volge in intimità, in silenzio, in una forma plastica che accoglie il peso della generazione come gesto archetipico. Si potrebbe affermare che in Martini ogni soggetto plastico è, al contempo, icona e corpo, enigma e carne.


5. La scultura come lingua impossibile

Un passaggio obbligato nell’analisi del percorso artistico di Martini è il suo celebre pamphlet La scultura lingua morta (1945). A lungo interpretato come una dichiarazione di fallimento o di rifiuto della pratica scultorea, il testo si presenta oggi, alla luce di un rinnovato interesse critico, come una riflessione radicale sul limite del linguaggio plastico nella società moderna.

La scultura, afferma Martini, è incapace di raccontare il mondo contemporaneo, troppo frantumato e inafferrabile per poter essere tradotto in forma stabile. Ma è proprio in questo scarto tra esigenza narrativa e impotenza formale che si situa la sua ricerca più autentica. La mostra di Vicenza, in tal senso, restituisce un’immagine non pacificata dell’artista: un Martini che abita la crisi, che ne fa materia di lavoro, che riconosce nella scultura non una lingua morta, ma una lingua che muore, che si spezza, che lotta per sopravvivere.

L’atto scultoreo, allora, non è più un gesto prometeico di dominio sulla materia, ma un atto quasi rituale, carico di fallimento e di ostinazione. Una pratica che tenta, ancora e sempre, di dare figura a ciò che non ha figura.


6. Il ruolo della collezione: conservazione, visione, restituzione

Particolare merito dell’iniziativa va riconosciuto alla struttura delle Gallerie d’Italia, e in particolare all’impegno culturale di Intesa Sanpaolo nel custodire e valorizzare il proprio patrimonio artistico. La collezione di opere di Arturo Martini, raramente esposta nella sua interezza, viene ora restituita alla visione pubblica con un apparato scientifico che ne garantisce la leggibilità e la contestualizzazione storica.

Il catalogo della mostra — ricco di contributi critici, apparati filologici, immagini d’archivio — si configura come uno strumento indispensabile non solo per il pubblico colto, ma anche per gli studiosi. In tal senso, Vitalità del Tempo rappresenta un esempio virtuoso di sinergia tra committenza, museologia e ricerca, capace di coniugare divulgazione e approfondimento.


7. Conclusione

La mostra di Vicenza riconsegna alla riflessione critica un artista complesso, la cui opera non può essere ridotta a facili classificazioni. Arturo Martini, figura irregolare e poetica, ha abitato il secolo con una radicalità silenziosa, interrogando senza tregua il senso della forma, la densità della materia, la possibilità stessa del fare scultura in un tempo che sembrava averla espulsa.

In un’epoca dominata dalla smaterializzazione delle immagini e dalla rapidità dei flussi visivi, la scultura di Martini si impone come atto di resistenza: un corpo nel tempo, un tempo nel corpo. Visitare Vitalità del Tempo significa misurarsi con un pensiero plastico che non vuole sedurre, ma inquietare; che non cerca la perfezione, ma l’imperfezione viva del mondo. E che, proprio per questo, continua a parlarci con voce antica e moderna insieme.