mercoledì 2 luglio 2025

Il silenzio ritrovato: la Cappella del Giglio e la memoria delle escluse

Il recente restauro della Cappella di Santa Maria del Giglio, all’interno del complesso monumentale di Santa Maria Maddalena dei Pazzi a Firenze, restituisce alla città e alla memoria collettiva un frammento raro e significativo di spiritualità, architettura e storia sociale, in particolare femminile. Questo piccolo ambiente, discretamente adagiato a destra dell’ingresso principale su Borgo Pinti, è tornato a mostrarsi nella sua sobria eleganza dopo un attento lavoro conservativo che ha saputo riportarne in luce il valore materiale e simbolico, facendo riemergere i segni tangibili di una lunga stratificazione di presenze, trasformazioni e silenzi.

Inserita in un contesto architettonico di grande rilievo, la cappella si trova incastonata tra il muro perimetrale e il quadriportico che Giuliano da Sangallo progettò nella seconda metà del Quattrocento, conferendo a tutto il complesso quella misura di armonia rinascimentale che ancora oggi ne definisce l’identità. Il contributo di Sangallo fu determinante nella ridefinizione dell’assetto generale della chiesa e del convento, e soprattutto nel realizzare quell’elegante quadriportico che media tra l’esterno e l’interno, tra la città e il sacro. Eppure, la Cappella del Giglio – più antica, risalente ai primi decenni del Quattrocento – racconta una storia parzialmente diversa, che precede e in parte sfugge alla grande narrazione rinascimentale fiorentina. Voluta dai monaci cistercensi, essa venne costruita per rispondere a un’esigenza ben precisa: offrire uno spazio di preghiera alle donne devote, che, secondo le regole dell’epoca, non erano ammesse alla chiesa principale se non due volte all’anno, in occasioni speciali e rigidamente codificate.

Questo dato, apparentemente secondario, apre invece uno squarcio importante sulla comprensione delle dinamiche religiose e sociali di un tempo in cui l’accesso agli spazi sacri era fortemente normato, e in cui le donne, pur animando gran parte della vita spirituale, restavano spesso confinate ai margini, in posizioni liminali, fisicamente e simbolicamente. La Cappella del Giglio si configura così come uno spazio di frontiera, costruito proprio nel punto di passaggio tra interno ed esterno, tra l’aperto del quadriportico e la clausura monastica. Non un’appendice, ma un corpo architettonico pensato per accogliere il silenzio, la preghiera, la presenza invisibile di chi non poteva accedere ai luoghi ufficiali del culto.

Il restauro ha consentito non solo di recuperare le qualità costruttive e decorative della cappella, ma anche di valorizzare questa sua funzione storica di rifugio e margine. Si è potuto intervenire con attenzione su intonaci, apparati lapidei, e dettagli architettonici che rivelano la delicatezza di un’epoca in cui la sacralità degli spazi si declinava anche in rapporto al genere, alla visibilità, all’esclusione. L’intervento ha dunque avuto il merito di non limitarsi a un recupero tecnico, ma di riaccendere la memoria di un luogo intimo, periferico, eppure centrale per la comprensione della spiritualità vissuta quotidianamente.

In una città come Firenze, dove le grandi imprese architettoniche e artistiche del Rinascimento rischiano talvolta di oscurare le tracce più umili e quotidiane, la riapertura della Cappella di Santa Maria del Giglio assume il valore di un gesto necessario: ridare voce e spazio a una storia minore, ma non per questo meno essenziale. Le donne che un tempo sostavano in quel piccolo ambiente – escluse ma partecipi, invisibili ma presenti – tornano oggi a parlare attraverso le pietre, i muri, le geometrie ritrovate. E se la città oggi si riappropria di questo scrigno, lo fa non solo in nome dell’arte o della conservazione, ma anche per colmare un vuoto, per restituire dignità a una memoria silenziosa, rimasta a lungo ai margini della narrazione ufficiale.

La Cappella del Giglio rappresenta molto più di una scoperta o di un recupero: è un invito a ripensare il rapporto tra architettura e corpo, tra spazio e identità, tra ciò che è stato escluso e ciò che può essere finalmente incluso in un racconto più ampio e più giusto. Riaprire questa cappella significa aprire anche una possibilità: quella di una nuova lettura della storia, che non dimentichi le sue zone d’ombra, ma le accenda di nuova luce.