Nel paesaggio critico italiano, costellato negli ultimi decenni da numerosi studi su Virginia Woolf, l’opera di Luciana De Palma si staglia come una voce radicalmente consapevole della complessità che l’autrice inglese rappresenta per il pensiero contemporaneo. Virginia Woolf. Le parole, il tempo, la visione non è una monografia tradizionale, né un semplice compendio di lettura: si tratta piuttosto di una lunga, acuta riflessione su alcuni nodi fondanti della poetica e della filosofia woolfiana, condotta con rigore, sensibilità linguistica e profonda coerenza teorica. Il libro non offre tanto una nuova interpretazione dell’opera di Woolf, quanto una ridefinizione stessa dei modi in cui si può e si deve leggere Woolf oggi, in un mondo teorico che ha inglobato gli studi di genere, la filosofia del linguaggio, la fenomenologia e l’estetica della percezione.
Il titolo scelto da De Palma — Le parole, il tempo, la visione — non ha solo una funzione descrittiva. Esso costituisce, piuttosto, un’architettura teorica su cui si fonda l’intero impianto critico. Le parole, in Woolf, non sono mai neutrali né servili rispetto al contenuto: sono carne della visione, vibrazione della coscienza, suono e forma che si addensano nella trama del pensiero. De Palma affronta il lessico woolfiano con un’attenzione millimetrica, rivelando come ogni scelta sintattica, ogni pausa, ogni metafora agisca come un’esplosione microscopica all’interno del tessuto narrativo. La parola, per Woolf, non descrive: evoca, disarticola, plasma. Da ciò deriva l’urgenza di un linguaggio continuamente inventato, di una frase che non si chiude mai, che respira con il personaggio e con la coscienza del lettore. In questo senso, l’analisi che De Palma compie è anche una teoria della lingua letteraria come dispositivo di conoscenza — non solo rappresentazione del reale, ma creazione del possibile.
Accanto alla parola, il tempo. Ma qui si tratta di un tempo tutt’altro che lineare. Il tempo woolfiano, come De Palma mostra con grande lucidità, non si piega mai alla cronologia né alla struttura causale: è materia porosa, intermittente, mobile. È un tempo filtrato dalla memoria, dalla sensibilità, dal corpo. Tempo che non passa ma si dilata, che non si accumula ma si scompone. L’opera di Woolf diventa allora, nelle mani di De Palma, un laboratorio per ripensare il tempo narrativo come forma della soggettività, come costellazione affettiva, come gesto di resistenza all’omologazione lineare della storia. Le suggestioni filosofiche che sostengono queste analisi — da Bergson a Benjamin, passando per Bachelard — non vengono mai forzate nel testo, ma emergono come risonanze naturali, come strumenti di approfondimento e non come griglie rigide di lettura. Il tempo, così come lo concepisce De Palma attraverso Woolf, è un tempo intensivo, plastico, intimo: un tempo della coscienza, in cui presente e passato si confondono in una continua riscrittura dell’identità.
La visione è il terzo vertice di questa triade. E anche qui il concetto si allontana da qualsiasi forma di naturalismo. In Woolf, vedere non significa registrare, ma interrogare. Lo sguardo non è mai oggettivo, ma interiorizzato, ambiguo, talvolta persino onirico. De Palma restituisce con grande efficacia questa ambiguità della visione, mostrando come essa attraversi tanto la struttura dei romanzi quanto la lingua dei saggi. L’influenza dell’arte pittorica, in particolare dell’Impressionismo, è trattata non come semplice referenza culturale ma come matrice formativa della scrittura. Le immagini non sono mai illustrazioni: sono eventi di coscienza, accensioni percettive, momenti in cui il linguaggio si fa immagine, o l’immagine si fa linguaggio. In tal senso, la visione woolfiana non è mai statica, ma sempre processuale: una visione che si fa, che muta, che fallisce, che si moltiplica.
Uno degli aspetti più apprezzabili del volume risiede nella sua capacità di considerare i romanzi e i saggi woolfiani come parte di un’unica opera in divenire. De Palma non privilegia il romanzo come genere, né il saggio come dichiarazione d’intenti: li legge piuttosto come forme dialogiche, che si rispondono, si integrano, si correggono a vicenda. Il pensiero woolfiano si costruisce nello spazio mobile fra finzione e riflessione, fra narrazione e teoria. La lucidità polemica dei saggi femministi si riverbera nelle tensioni linguistiche della narrativa, così come la ricerca di purezza formale nei romanzi si specchia nella severità etica dei saggi. In tutto questo, De Palma mantiene una prospettiva critica che è insieme intertestuale e transdisciplinare, senza mai perdere di vista la specificità letteraria dell’opera di Woolf. La sua lettura si fonda su una familiarità profonda con la lingua inglese, che le permette di restituire in italiano non soltanto il significato ma il ritmo, la cadenza, la sensualità della prosa woolfiana.
Un altro elemento di rilievo, raramente affrontato con tale perizia nella critica italiana, è l’analisi della performatività linguistica. De Palma mostra come la scrittura di Woolf non si limiti a rappresentare l’esperienza, ma la costruisca. In altre parole: la scrittura non dice il mondo, lo fa. Le frasi woolfiane non si accontentano di narrare ciò che accade nella coscienza di un personaggio, ma ne generano il movimento stesso, ne scandiscono le fasi, ne tracciano le oscillazioni. Da qui deriva una forma di soggettività fluida, multipla, non riconducibile a un’identità fissa: soggettività che si costruisce nella parola, che si smarrisce nella percezione, che si dissolve nella visione. De Palma coglie questa dimensione con finezza rara, offrendo una lettura in cui la lingua non è mai strumento ma soglia, non medium ma materia.
Nel suo insieme, il volume si impone come un’opera critica capace di tenere insieme il dettaglio e la visione d’insieme, la profondità analitica e la chiarezza espositiva, la fedeltà al testo e l’apertura teorica. Non vi è mai, in queste pagine, alcuna tentazione di totalizzare, di racchiudere l’opera di Woolf entro formule critiche, ideologiche o identitarie. Al contrario, ciò che emerge è la volontà di accompagnare il lettore — o meglio, il compagno di viaggio — attraverso un processo di scoperta, di ascolto, di immersione. La critica, in De Palma, non è mai invasiva: è una scrittura che si accosta, che interroga, che si ritrae quando serve. È una forma di attenzione. E proprio in questo gesto di attenzione, di rispetto per la densità dell’opera, risiede forse la cifra più autentica e generosa di questo libro.
Questo testo non solo chiarisce e approfondisce la straordinaria complessità della scrittura woolfiana, ma riesce anche a rispecchiarne l’essenza: è un libro che pensa, che sente, che guarda. Un libro scritto con rigore ma anche con grazia. E per questo, forse, destinato a durare. Non come un commento erudito, ma come un esercizio di dialogo: con Woolf, con la letteratura, e con l’atto stesso della lettura.