Quando ci avviciniamo alla scrittura, molti di noi si perdono in un circolo vizioso di letture e approfondimenti, convinti che più informazioni possediamo, più saremo in grado di scrivere con precisione e autorità. All’inizio, la documentazione sembra essere la chiave per aprire la porta della scrittura. Ogni dettaglio, ogni fonte, ogni citazione contribuisce a costruire un quadro che dovrebbe rendere l’atto della scrittura solido e indiscutibile. Ma, come ci avverte Flaubert, questo processo, pur sembrando produttivo, rischia di trasformarsi in un piacere sensuale e vano, una "lussuria" che non porta alla scrittura vera e propria, ma la ritarda, la rallenta, la soffoca sotto il peso di troppe informazioni.
Questo paradosso, che il grande scrittore francese ci pone di fronte, ha un fondo di verità che non possiamo ignorare. La ricerca e la documentazione sono, di per sé, attività nobili, utili, che arricchiscono la nostra comprensione del mondo e ci permettono di costruire una base solida su cui poggiare la nostra scrittura. Ma c’è un momento, talvolta impercettibile, che segna la transizione tra il lavoro preparatorio e l’atto creativo. Questo momento è carico di tensione e di incertezza, e Flaubert lo coglie con una lucidità spietata. Più ci avviciniamo alla scrittura, più ci sembra che ogni nuova scoperta, ogni nuova informazione, ci stia preparando a una scrittura perfetta, impeccabile. Ma, in realtà, ciò che accade è esattamente il contrario: l’eccesso di documentazione diventa un ostacolo, un impedimento che ci fa temere di scrivere, perché ci sembra di non avere mai abbastanza conoscenza, di non essere mai abbastanza preparati.
Questo fenomeno psicologico, che Flaubert descrive come "lussuria", non è solo un desiderio fisico, ma un fenomeno intellettuale che ci prende e ci fa credere che la conoscenza sia la chiave per accedere alla scrittura. Ma la scrittura non è mai solo una questione di accumulo di dati. Essa è un atto creativo che va oltre la mera conoscenza. Ecco la grande lezione che Flaubert ci offre: non possiamo pensare che più sappiamo, più saremo capaci di scrivere. La scrittura autentica nasce dalla capacità di affrontare l’incertezza, di saper rinunciare alla sicurezza della documentazione per tuffarsi nel caos creativo.
La "vertigine" che Flaubert evoca non è altro che il fascino per il sapere, che ci illude di poter raggiungere una sorta di perfezione nella scrittura. Ma più ci si avvicina a questa perfezione, più essa diventa sfuggente. In realtà, la verità della scrittura non risiede mai nella conoscenza assoluta, ma nel coraggio di affrontare l’ignoto, nel rischio di scrivere senza avere tutte le risposte. Ogni scrittore che si avvicina al foglio bianco si trova di fronte alla stessa paura: quella di non sapere abbastanza, di non avere tutte le informazioni necessarie per scrivere con autorità. Eppure, è proprio in quel momento di incertezza che la scrittura può rivelarsi nella sua forma più pura, più autentica. La vera scrittura nasce dall’incertezza, dalla capacità di agire nonostante la mancanza di risposte definitive.
In fondo, ciò che Flaubert ci sta dicendo è che la documentazione, pur essendo utile, non è mai sufficiente. La scrittura è un atto di invenzione, non di registrazione. Essa non ha bisogno di essere la riproduzione perfetta di una realtà conosciuta, ma piuttosto una creazione che nasce dall’immaginazione. Ogni parola scritta è una rielaborazione della realtà, non una sua semplice trascrizione. La scrittura non deve cercare di essere la copia di qualcosa di già esistente, ma deve essere il prodotto di un pensiero che va oltre i confini della conoscenza, un pensiero che osa rischiare, che abbraccia l’incertezza.
Flaubert, con il suo cinismo e la sua lucidità, ci spinge a riflettere sul fatto che la vera scrittura non nasce dalla somma delle nostre conoscenze, ma dalla capacità di mettere in discussione ciò che sappiamo. Ogni scrittore deve, prima di tutto, liberarsi dalla schiavitù della documentazione, dal peso del sapere. Questo non significa che la ricerca non abbia valore, ma che essa deve essere solo uno strumento, non il fine ultimo della scrittura. La scrittura vera e propria comincia quando ci si allontana dalla sicurezza dei dati, dalla certezza delle informazioni, e si entra in un territorio di ambiguità, di possibilità infinite. È in questo spazio di incertezza che la creatività può fiorire.
La riflessione di Flaubert ci insegna che la scrittura non è mai un processo lineare, non è mai un accumulo di certezze. Essa è un processo continuo di ricerca, ma non una ricerca che finisce nel sapere, bensì una ricerca che si nutre dell’incertezza. La documentazione, per quanto importante, deve essere solo un punto di partenza, non un fine. L’autore deve saper trascendere la conoscenza, deve saper scrivere senza aver completamente dominato l’argomento. La vera scrittura è sempre incompleta, sempre in divenire, sempre in equilibrio precario tra ciò che sappiamo e ciò che ancora ci sfugge.
Flaubert ci invita, quindi, a superare il bisogno di avere risposte certe, a liberarci dal desiderio di sapere tutto prima di scrivere. La scrittura è un atto che deve partire dall’incertezza, dall’interrogativo, dal rischio di non sapere, ma proprio per questo è capace di generare qualcosa di nuovo, di originale, che trascende il semplice accumulo di dati. La creazione non è mai il risultato di un sapere, ma il risultato di un pensiero che si lascia guidare dall’immaginazione, dal desiderio di scoprire ciò che ancora non conosciamo. La scrittura, quindi, non è mai il frutto della documentazione perfetta, ma della capacità di rischiare, di inventare, di osare.