lunedì 10 marzo 2025

Yayoi Kusama: l’arte dell’infinito e la rivoluzione dei pois

Nel panorama dell’arte contemporanea, pochi artisti hanno saputo ridefinire il concetto stesso di esperienza artistica come Yayoi Kusama. Oggi, il suo nome è sinonimo di visioni psichedeliche, installazioni immersive e una produzione artistica che attraversa quasi otto decenni. Il suo stile, dominato da motivi ossessivi come i pois e le forme ripetitive, è riconoscibile ovunque nel mondo, dalle gallerie più prestigiose alle collaborazioni con grandi marchi di moda. Ma dietro il suo successo globale si nasconde una storia di ostinazione, sofferenza e resistenza contro un mondo dell’arte che per decenni non ha voluto darle il giusto riconoscimento.

Un’infanzia segnata dall’arte e dalla sofferenza

Yayoi Kusama nasce il 22 marzo 1929 a Matsumoto, una città della prefettura di Nagano, in Giappone, in una famiglia benestante ma rigidamente conservatrice. Il padre, imprenditore di successo, è spesso assente, e la madre esercita un controllo ferreo sulla figlia, tentando di soffocare ogni suo desiderio di indipendenza. Fin da bambina, Yayoi mostra un talento precoce per il disegno, ma manifesta anche episodi di allucinazioni visive che la accompagneranno per tutta la vita. Queste visioni, caratterizzate dalla ripetizione ossessiva di pois e schemi geometrici che sembrano espandersi all’infinito, diventano il nucleo della sua arte.

La madre, però, ostacola con fermezza il suo desiderio di dipingere. Kusama racconta di come fosse costretta a disegnare di nascosto e di come la madre le strappasse di mano le tele nel tentativo di dissuaderla. Nonostante tutto, la sua vocazione artistica è troppo forte per essere repressa. Durante la Seconda guerra mondiale, mentre il Giappone è devastato dai bombardamenti e dall’incertezza, Kusama trova rifugio nell’arte, sviluppando un linguaggio visivo che sfida la rigidità delle tradizioni artistiche giapponesi.

Negli anni ’40, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Kyoto, dove studia pittura nihonga, una tecnica tradizionale giapponese che però le appare soffocante e antiquata. Il suo spirito ribelle la spinge a esplorare nuove strade e, ispirata dalle opere di artisti occidentali come Georgia O’Keeffe (con cui entrerà in contatto attraverso una corrispondenza epistolare), Kusama inizia a sviluppare uno stile sempre più personale e anticonformista.

Il trasferimento a New York e la lotta per il riconoscimento

Nel 1958, con pochissimi soldi e una conoscenza limitata dell’inglese, Kusama prende una decisione radicale: lascia il Giappone e si trasferisce a New York, allora epicentro dell’arte contemporanea. Il mondo dell’arte newyorkese, all’epoca, è dominato dall’Espressionismo Astratto, con figure come Jackson Pollock, Willem de Kooning e Mark Rothko che impongono la loro visione artistica. È un ambiente competitivo e fortemente maschilista, dove una giovane artista giapponese senza connessioni è costretta a lottare per farsi notare. Ma Kusama non si lascia intimorire.

Senza mezzi economici e con un inglese rudimentale, affitta un piccolo studio nel quartiere di SoHo e inizia a dipingere febbrilmente. La sua tecnica si evolve rapidamente: le tele diventano immense, quasi oceaniche, ricoperte da motivi ripetitivi che si estendono come reti infinite. Le chiama Infinity Nets, “reti dell’infinito”, e attraverso di esse trasforma la sua ossessione per la ripetizione in un’esperienza visiva ipnotica e totalizzante.

Le sue opere attirano l’attenzione di alcuni critici e collezionisti d’avanguardia, ma il mondo dell’arte è lento a riconoscere il valore del suo lavoro. Spesso le sue idee vengono riprese – o direttamente plagiate – da artisti più noti. Andy Warhol, per esempio, si appropria del concetto di ripetizione seriale che Kusama ha esplorato nelle sue tele, utilizzandolo per la celebre serie delle Cow Wallpaper. Anche Claes Oldenburg e altri esponenti della Pop Art traggono spunto dalle sue installazioni senza mai citarla.

Dalle tele alle installazioni immersive

Frustrata dai limiti imposti dalla pittura tradizionale, Kusama comincia a sperimentare con installazioni sempre più monumentali e coinvolgenti. L’arte, per lei, non deve più essere confinata a una superficie bidimensionale, ma deve diventare un’esperienza immersiva, capace di avvolgere completamente lo spettatore. Nascono così le sue prime Infinity Mirror Rooms, stanze rivestite di specchi che moltiplicano all’infinito i pois e le luci, creando un effetto di vertigine spaziale.

Parallelamente, si avvicina al mondo della performance art. Negli anni ’60 organizza happening provocatori in cui corpi nudi vengono dipinti con pois e immersi in ambienti psichedelici. Questi eventi, spesso connotati da un forte messaggio politico – contro la guerra in Vietnam o in favore della liberazione sessuale – attirano l’attenzione della stampa, ma anche la censura.

Nonostante la sua presenza sempre più visibile nella scena artistica newyorkese, Kusama continua a sentirsi un’outsider. Il mondo dell’arte, dominato da figure maschili che spesso ignorano o minimizzano il contributo delle artiste donne, non le offre lo spazio che meriterebbe. La sua instancabile produzione artistica la porta a un esaurimento fisico e mentale. Colpita da attacchi di panico e da una depressione sempre più profonda, nel 1973 Kusama prende una decisione drastica: lascia New York e torna in Giappone.

Il ritorno in Giappone e l’isolamento

Ma il rientro in patria non è l’inizio di una nuova fase di successo, bensì un periodo di isolamento e difficoltà. Nel Giappone degli anni ’70, il suo stile artistico, fortemente influenzato dalle avanguardie occidentali, viene visto con sospetto. Le gallerie la ignorano, il pubblico non la comprende e l’artista, già segnata da anni di stress e frustrazione, cade in una crisi profonda.

Nel 1977, affetta da gravi disturbi d’ansia e allucinazioni, Kusama sceglie volontariamente di ricoverarsi in una clinica psichiatrica a Tokyo, dove vivrà stabilmente per il resto della sua vita. Ma il suo ricovero non segna la fine della sua carriera artistica, anzi: all’interno della clinica, continua a lavorare senza sosta, trasformando l’arte in una forma di terapia e resistenza. Il suo studio, situato nei pressi della struttura, diventa un laboratorio in cui sperimenta nuovi formati e tecniche, ampliando ulteriormente il suo linguaggio visivo.

La riscoperta e l’ascesa a icona globale

Negli anni ’80 e ’90, il mondo dell’arte inizia finalmente a riscoprire Kusama. Il cambiamento arriva grazie a una serie di retrospettive internazionali che riportano alla luce il suo straordinario contributo all’arte contemporanea. Nel 1993, è invitata a rappresentare il Giappone alla Biennale di Venezia, un evento che segna il suo ritorno sulla scena globale.

Da quel momento, la sua popolarità cresce in modo esponenziale. Le sue Infinity Mirror Rooms diventano attrazioni imperdibili nei più grandi musei del mondo, con file chilometriche di visitatori desiderosi di immergersi nei suoi mondi specchiati. Le sue sculture giganti, dai zucche psichedeliche ai tentacoli colorati, riempiono piazze e spazi pubblici. Le sue collaborazioni con il mondo della moda, in particolare con Louis Vuitton, la trasformano in una vera icona pop.

L’eredità di Yayoi Kusama

Oggi, Yayoi Kusama è più di una semplice artista: è un fenomeno culturale. A 95 anni, continua a lavorare quotidianamente nel suo studio, dipingendo tele gigantesche con la stessa ossessione e dedizione che l’ha accompagnata per tutta la vita. Il suo nome è entrato nella storia dell’arte accanto a quelli dei più grandi artisti del XX e XXI secolo, e il suo impatto si estende ben oltre il mondo delle gallerie e dei musei.

Ma il suo lascito più grande non è solo nelle sue opere, nei suoi pois o nelle sue stanze specchiate. La sua storia è un inno alla resistenza, alla capacità di trasformare il dolore in arte, alla forza di un’artista che non si è mai piegata alle convenzioni. Kusama ci insegna che l’arte può essere un rifugio, una ribellione, un universo parallelo in cui trovare libertà.

Un’arte senza confini: Kusama nel XXI secolo

Nel nuovo millennio, l’arte di Yayoi Kusama ha travalicato i confini dei musei per diventare un fenomeno globale, capace di dialogare con pubblici di ogni età e cultura. Le sue mostre, allestite nei più prestigiosi spazi espositivi del mondo – dal MoMA di New York alla Tate Modern di Londra, fino al Centre Pompidou di Parigi – registrano record di visitatori, con liste d’attesa che si allungano per mesi. Le sue Infinity Mirror Rooms, con i loro giochi di riflessi infiniti, sono diventate una delle esperienze artistiche più fotografate dell’era digitale, trasformandosi in un simbolo di quell’estetica immersiva che oggi domina l’arte contemporanea.

Ma Kusama non è solo un’artista da museo. La sua influenza si estende al mondo della moda, del design e della cultura pop. Dopo la prima collaborazione con Louis Vuitton nel 2012, nel 2023 la maison francese ha rilanciato una collezione interamente dedicata a lei, con borse, abiti e accessori ricoperti dai suoi inconfondibili pois colorati. Le vetrine dei negozi di tutto il mondo si sono trasformate in installazioni artistiche, con gigantesche sculture della sua immagine che salutavano i passanti, quasi a voler sottolineare che Kusama non è solo un’artista, ma un’icona vivente.

Parallelamente, il mercato dell’arte ha consacrato il valore delle sue opere: le sue tele e installazioni vengono battute all’asta per cifre da record, facendo di lei l’artista donna vivente più quotata al mondo. Ma a differenza di altri artisti la cui fama si è trasformata in mero prodotto commerciale, Kusama è rimasta fedele alla sua visione, continuando a lavorare con l’ossessione e la disciplina di sempre.

L’artista e il mito: tra isolamento e celebrità

Nonostante il successo planetario, Yayoi Kusama non ha mai abbandonato la clinica psichiatrica di Tokyo, che è diventata la sua dimora stabile sin dal 1977. Ogni giorno, l’artista si sveglia, si reca nel suo studio poco distante e lavora instancabilmente per ore. Dipinge tele monumentali, scrive poesie, progetta nuove installazioni, come se il tempo non avesse alcun potere su di lei. Il ricovero volontario, che potrebbe sembrare una forma di reclusione, è invece per Kusama una scelta consapevole, un rifugio che le permette di continuare a creare senza distrazioni, lontano dal caos del mondo esterno.

Questa apparente contraddizione – una donna che vive in un ospedale psichiatrico e al tempo stesso è una delle artiste più celebri del pianeta – ha contribuito a costruire il mito di Kusama. La sua figura, con i capelli rosso fuoco e gli abiti a pois, è diventata iconica tanto quanto le sue opere. Ma dietro questa immagine pop e colorata si cela un’anima tormentata, un’artista che ha trasformato il proprio dolore in una visione unica, capace di coinvolgere milioni di persone.

Un messaggio di libertà e infinito

Alla base della sua arte non c’è solo la ripetizione ossessiva di forme, ma un messaggio profondo: l’idea che l’arte possa essere un mezzo per dissolvere l’ego e connettersi con l’universo. Kusama stessa ha più volte dichiarato che la sua ossessione per i pois deriva dalla convinzione che tutto nell’universo sia interconnesso: ogni punto è un mondo, ogni ripetizione un modo per annullare i confini tra sé e il cosmo.

E forse è proprio questo il segreto del suo fascino senza tempo: l’arte di Yayoi Kusama non è solo un’espressione individuale, ma una porta aperta verso l’infinito, un invito a perdersi dentro un universo senza limiti. Le sue installazioni non si limitano a essere opere da osservare: sono esperienze da vivere, spazi in cui il visitatore è chiamato a entrare, riflettersi, moltiplicarsi e dissolversi in un gioco di illusioni.

Le sue Infinity Mirror Rooms non sono semplici ambienti specchiati, ma vere e proprie metafore dell’infinito e della dissoluzione dell’identità. Entrando in queste stanze, il visitatore si trova immerso in un cosmo senza confini, dove il proprio riflesso si ripete all’infinito fino a perdersi. È un’esperienza al tempo stesso esaltante e destabilizzante, che invita a mettere in discussione la percezione di sé e del mondo.

Lo stesso concetto si ritrova nelle sue celebri zucche giganti, che popolano musei e spazi pubblici di tutto il mondo. Per Kusama, la zucca è un simbolo della semplicità e della connessione con la natura, un oggetto umile e rassicurante che, ingigantito e coperto di pois, diventa una presenza quasi surreale. La ripetizione ossessiva dei pois sulle superfici delle zucche è un modo per annullare i confini tra l’oggetto e lo spazio circostante, come se tutto facesse parte di un unico, infinito disegno.

Il futuro di Yayoi Kusama: un’eredità eterna

Oggi, Yayoi Kusama è più di un’artista: è un fenomeno culturale, una leggenda vivente la cui influenza continua a crescere. A 95 anni, non ha mai smesso di creare, e il suo lavoro continua a ispirare nuove generazioni di artisti, designer e creativi di ogni campo.

La sua eredità è già ben radicata: le sue opere sono presenti nelle più grandi collezioni d’arte del mondo, i suoi libri e scritti vengono studiati e analizzati, e il suo stile ha influenzato profondamente l’estetica contemporanea. Ma più di ogni altra cosa, Kusama ha lasciato un messaggio potente: l’arte non è solo bellezza o tecnica, ma un mezzo per esplorare il proprio universo interiore, affrontare le proprie ossessioni e trasformarle in qualcosa di universale.

In un mondo sempre più dominato dall’individualismo e dalla frenesia, Kusama ci ricorda che siamo tutti punti in un immenso universo, connessi tra di noi in modi che spesso non comprendiamo del tutto. I suoi pois, le sue stanze infinite, le sue installazioni monumentali sono un inno alla libertà, alla perdita dell’ego, alla possibilità di dissolversi nel tutto senza paura.

Forse è proprio questo il segreto della sua arte: ci offre uno spazio dove possiamo smettere, anche solo per un momento, di essere individui separati e diventare parte di qualcosa di più grande. E in un’epoca in cui tutti cercano disperatamente di distinguersi, Kusama ci invita a fare l’opposto: perderci, fonderci, riconoscerci nell’infinito.

Un’infinità di pois, un’infinità di possibilità.

E se il mondo dell’arte per anni ha cercato di ignorarla, oggi è impossibile guardare l’arte contemporanea senza riconoscere il segno profondo che ha lasciato.