giovedì 27 marzo 2025

"Call me by your name"


Call me by your name è un film che continua a destare opinioni contrastanti, ma ciò che mi colpisce di più, ogni volta che ne parlo, è come riesca a suscitare reazioni estremamente polarizzate: o lo si ama con passione, o lo si detesta con altrettanta fermezza. Ma nonostante la sua bellezza visiva, che è innegabile, trovo che il film non riesca a trascendere la sua estetica e a trasformarsi in qualcosa di più profondo, in qualcosa che lasci davvero un segno. La trama, a mio avviso, è messa in secondo piano rispetto alla cura maniacale con cui ogni inquadratura è studiata, e il rischio che ne deriva è quello di un’opera che si concentra troppo sulla superficie, dimenticando la sostanza, che dovrebbe essere invece il cuore di ogni racconto.

Partiamo da un’analisi della recitazione. In Call me by your name, i due protagonisti, Timothée Chalamet ed Armie Hammer, interpretano due giovani uomini alle prese con una passione intensa, ma anche tormentata, ma sebbene il loro aspetto fisico e la loro presenza scenica siano indiscutibili, la recitazione mi lascia spesso con la sensazione di un’impercettibile distanza tra i personaggi e lo spettatore. La recitazione, soprattutto di Chalamet, appare quasi impalpabile, leggera, come se i personaggi stessero vivendo un sogno invece che una realtà, come se fosse un’interpretazione che si limita a sfiorare le emozioni senza mai davvero esplorarle in profondità. In certi momenti, sembra che i protagonisti stessi non abbiano del tutto accesso ai propri sentimenti, e questo crea un vuoto emotivo che ostacola la comprensione totale della loro esperienza.

Le emozioni dei personaggi non riescono a emergere con quella potenza che ci si aspetterebbe da una storia d’amore di questo tipo. L’intensità del loro legame non sembra mai essere abbastanza concreta, mai abbastanza tangibile. C’è qualcosa di sottilmente frustrante nell’osservare la loro interazione, come se ci fosse sempre una barriera invisibile tra loro e il pubblico, una barriera che impedisce lo spettatore di entrare davvero nel cuore dei loro conflitti interiori. A volte sembra che non si stiano parlando davvero, che non stiano comunicando a un livello profondo, ma piuttosto si limitino a scambiarsi frasi che si disperdono nell’aria, per non toccare mai il fondo di ciò che sentono. Questo è forse il difetto più evidente del film: la sua difficoltà nell’affrontare e rendere tangibile la lotta emotiva che caratterizza un amore così controverso e complicato. Siamo spettatori di un gioco superficiale, di una storia che vuole sembrare intensa senza riuscire a esserlo davvero.

E poi, ci sono le immagini. La fotografia di Call me by your name è, indubbiamente, uno degli elementi che lo ha reso così famoso. Ogni singolo fotogramma sembra essere stato pensato con una cura maniacale, eppure questa bellezza visiva, alla lunga, diventa un’arma a doppio taglio. La luce calda dell’estate italiana, i paesaggi idilliaci, la scena della pesca che è diventata ormai iconica: tutto ciò crea un’atmosfera incantevole, ma questa atmosfera rischia di diventare così avvolgente che ci distrae dall’essenza della storia. Il film ci porta in un mondo da cartolina, dove tutto è perfetto, ma forse troppo perfetto. La perfezione estetica diventa quasi un rifugio da cui i personaggi non riescono mai a uscire. L’atmosfera, sebbene bellissima, non si traduce mai in una sensazione di reale coinvolgimento emotivo. La bellezza è, di fatto, sterile. È come un quadro in cui i colori sono intensi, ma la tela resta vuota, senza che si riesca a percepire qualcosa che vada oltre la superficie.

In una scena come quella della pesca, per esempio, sembra che il film cerchi di caricare l’azione di un significato simbolico profondo, ma alla fine non fa altro che soffermarsi su una metafora che non trova mai una piena realizzazione. La pesca diventa simbolo del desiderio, ma il modo in cui viene trattata sembra più una ricerca di una visione artistica che una vera esplorazione del desiderio stesso. Il gesto che la accompagna, pur essendo carico di sensualità visiva, non riesce a essere altrettanto potente emotivamente. Il film ci presenta un atto che dovrebbe simboleggiare il culmine della passione, ma in realtà ci offre un movimento privo di vero trasporto emotivo. Questo è il paradosso di Call me by your name: mentre si sforza di sembrare sensuale, non riesce mai a raggiungere la sensualità autentica. Ci sono immagini che potrebbero essere straordinarie, ma che restano sospese, non raggiungendo mai quella qualità viva e palpabile che ci fa sentire parte di quel desiderio.

La critica ha lodato il film per la sua capacità di ritrarre un amore difficile, ma a mio avviso, questo “amore” non viene mai esplorato come dovrebbe. Non ci sono le ferite emotive che ci si aspetterebbe da un’esperienza di questo tipo, né l’impeto di una passione che nasce, si sviluppa e, infine, si spegne. I protagonisti si incontrano, si desiderano, ma non ci sembra mai che siano davvero in lotta con se stessi. Non c’è un vero conflitto interiore che li spinga a crescere, a cambiare. Tutto resta sospeso, come se l’amore stesso fosse privo di una vera dimensione di rischio, di sfida. La storia sembra più una favola che una rappresentazione reale dell’amore, come se il film volesse rimanere sempre al di fuori della realtà, senza mai osare entrare nel territorio impervio della verità emotiva.

Infine, c’è un altro aspetto del film che trovo particolarmente irritante: l’eccessiva idealizzazione dell’esperienza. Il film sembra volerci vendere un amore perfetto, senza crepe, senza difficoltà vere, senza le contraddizioni che fanno parte di ogni relazione autentica. In Call me by your name non c’è posto per il conflitto profondo che nasce tra due persone che si amano ma che appartengono a mondi diversi. Non c’è quella tensione che nasce dal confronto con l’impossibilità del desiderio, quella lotta tra ciò che è giusto e ciò che si desidera davvero. La relazione sembra quasi predestinata ad essere vissuta come un’utopia, come se fosse più una riflessione filosofica sull’amore ideale che una storia reale. Questo è il suo grande difetto: il film ci racconta un amore che non è mai veramente concreto, mai davvero tangibile. È un amore che non ha carne e ossa, ma solo l’apparenza di un sentimento che, alla fine, non si svela mai per quello che è veramente.